Servizi di pulizia che raddoppiano, spese per le utenze telefoniche che triplicano, costi dell’elettricità che aumentano di dieci volte: il panorama dei costi degli ospedali italiani fatto dal ministero della Salute è quello di un servizio disomogeneo, con differenze abissali tra un ospedale all’altro. I dati, pubblicati online nel rapporto sull’attività economico-sanitaria del 2011 ed elaborati in collaborazione con il Centro studi sanità pubblica dell’Università Bicocca di Milano, insieme al fondatore Giancarlo Cesana e al ricercatore Achille Lanzarini, disegnano una cartina degli sprechi sanitari del nostro Paese. La spesa pubblica nella Sanità è di 50 miliardi l’anno e, con la legge di Stabilità che si avvicina e il governo alla ricerca di 20 miliardi, i tagli nel comparto non sono certo esclusi, nonostante le contrarietà dei presidenti di Regione. Ci si augura che i tagli non siano lineari, ma da qualche parte bisogna iniziare a colpire gli sprechi.
Un dato da cui partire per analizzare la mappa dei costi della Sanità è quello emesso da Bloomberg che nella sua annuale classifica Most Efficient Healt Care 2014 vede l’Italia al terzo posto a livello mondiale per efficienza, dietro a Singapore e Hong Kong e davanti a Giappone (4°), Australia (6°), il Regno Unito (10°) o la Norvegia (11°). La pubblicazione del rapporto ha messo in luce come il nostro Paese abbia una longevità media molto alta, spese pro-capite in diminuzione e servizi migliori, il che ha portato la sanità pubblica ai vertici mondiali. I dati vanno però sempre presi in un contesto più ampio: i parametri usati da Bloomberg (aspettativa di vita con variazioni rispetto all’anno precedente , costo della Sanità in percentuale sul Pil, costo della Sanità pro-capite) danno un quadro molto positivo, ma non entrano nello specifico.
A livello internazionale dunque l’Italia è ai vertici per efficienza, anche perché il costo sanitario nazionale (50 mld) incide quasi della metà sul totale della spesa pubblica (112 miliardi), ma il sistema al suo interno ha ancora troppe falle, dovute a una gestione non oculata dei fondi pubblici.
È di questo che si sta parlando: soldi pubblici che vengono gestiti in modo diverso da Regione a Regione, da struttura a struttura e che portano a buchi e debiti negli stessi ospedali. Il nodo è capire quanti soldi servono per mantenere un ospedale senza toccare la qualità dei servizi di cura al cittadino. Lo studio ha diviso i costi a bilancio per ogni letto disponibile e il risultato è stato un quadro di sprechi unico nel suo genere.
Il Cardarelli di Napoli per esempio spende per le pulizie 17.583 mila euro a posto letto contro i 6.518 del Sant’Orsola di Bologna e una media nazionale di 7.957 euro: stiamo parlando di più del doppio. Il De Lellis di Catanzaro spende per le bollette telefoniche 2.782 euro contro 910 a posto letto in media: siamo al triplo dei costi. Il Careggi di Firenze spende per l’elettricità 6.737 euro contro 604 a posto letto dell’ospedale Niguarda di Milano pur avendo le stesse dimensioni: siamo oltre dieci volte tanto.
E ancora. Il costo di un posto letto al San Matteo di Pavia è di 380mila, cifra che sale a oltre 500mila per l’Umberto I di Roma; per medici, infermieri, dipendenti e universitari il Policlinico Giaccone di Palermo ha un costo di 182mila euro a letto, mentre l’ospedale universitario di Parma ne spende 130mila.
Non è sempre e solo il Sud a essere sprecone, sia chiaro. L’ospedale universitario di Udine deve far fronte a un debito di 10 milioni anche perché il singolo letto costa 170mila euro in più rispetto all’ospedale universitario di Messina.
Anche all’interno della stessa Regione ci sono situazioni diverse: il Brotzu di Cagliari spende per personale non sanitario (tecnici e amministrativi) 34mila euro rispetto agli 11mila dell’ospedale universitario di Sassari.
Per mettere mano agli sprechi, bisogna capire prima di tutto quali sono i costi della singola struttura in merito anche alle prestazioni offerte. Il San Giovanni Addolorata di Roma spende 172mila euro per gli stipendi del personale contro i 140mila dell’ospedale di Padova, anche perché la media dei ricoveri in chirurgia generale è di 11 giorni contro 7.
Bisogna capire da dove nascono gli sprechi, dare la gestione economica degli ospedali a personale competente che sia in grado di intervenire sull’efficienza generale della struttura, senza togliere nulla a medici e personale sanitario e soprattutto ai pazienti.
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