Lo spreco di suolo è una delle criticità più acute e allo stesso meno evidenti del nostro Paese: in Italia i dati shock sulla cementificazione affermano che quotidianamente vengono impermeabilizzati in modo irreversibile circa 55 ettari di superficie vergine, con un consumo di suolo che è passato dal 2,7 per cento degli anni Cinquanta al 7 per cento del 2014, senza contare i danni a lungo termine di questa intensa attività umana sul territorio, diventato più fragile e inerme di fronte ai disastri climatici. Eppure i media parlano ben poco di questi numeri scioccanti. Un progetto dell’Università di Perugia mira a riqualificare le aree residuali accanto alle infrastrutture stradali, statisticamente la causa principale dello spreco di suolo, visto che secondo i dati Ispra le sole strade pesano per il 41 per cento del consumo complessivo.
Il progetto mira a recuperare concretamente queste aree, considerate di minore qualità ambientale anche senza impermeabilizzazione, a causa della frammentazione del territorio: allo studio del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali dell’Università degli Studi di Perugia vi sono cinque ipotesi di valorizzazione delle aree residuali, ovvero creazione di piantagioni per la produzione di biomassa legnosa, produzione di legname di pregio, realizzazione di ‘isole di bellezza paesaggistica’ oppure ‘isole di conservazione della biodiversità vegetale’, o infine costituzione di sistemi naturali per la raccolta delle acque. Come spiega Fausto Amadasi, Presidente della Cassa Italiana Previdenza e Assistenza Geometri, che ha collaborato con l’ateneo umbro alla creazione del progetto, ‘siamo convinti che questo progetto avrà effetti concreti e ci aiuterà a far capire a tutti gli operatori del settore che è possibile creare valore attraverso il recupero di zone inutilizzate e che, quindi, la cura dell’ambiente e dell’ecosistema non è solo di tipo conservativo, ma può essere fonte di ricchezza economica, di sviluppo del nostro territorio e di recupero di una cultura del rispetto del paesaggio e del ‘Belpaese’. Ci sono enormi possibilità‘.
L’attuale gestione di queste aree residuali presenta un costo non indifferente all’Anas, e secondo lo studio di fattibilità alla base del progetto si potrebbero ridurre le spese appunto attraverso produzioni da biomassa o legname da opera, oppure creando isole di conservazione delle specie vegetali e delle bellezze paesaggistiche. Ma il vantaggio maggiore, più che la pur significativa riduzione dei costi, si registrerebbe dal punto di vista ecologico con una decisa sottrazione di anidride carbonica dall’atmosfera e il conseguente contrasto all’effetto serra: pensiamo ad esempio come un semplice svincolo come quello di Orte, da solo, sarebbe in grado di sottrarre 298 tonnellate di CO2 in 10 anni, l’equivalente di tutta quella prodotta in un anno da circa mille autovetture che viaggiano nella tratta tra Roma e Firenze. Un progetto che speriamo possa concretizzarsi su larga scala nel più breve tempo possibile.