Sta finalmente per chiudersi la stagione della caccia in Italia, che come ogni anno termina il 31 gennaio: questa vera e propria industria della morte continua a mietere vittime non solo tra gli animali, ma anche tra gli esseri umani. Nonostante nel corso degli anni sia cresciuto il numero di persone, e non soltanto tra gli animalisti, contrarie a questa pratica, gli amanti delle doppiette possono ancora contare sul favore legislativo, seppur tra restrizioni riguardanti tempistiche e modalità. Proviamo a ragionare sul fenomeno snocciolando un po’ di cifre che riguardano la caccia in Italia, tenendo conto che per certi aspetti non si può che parlare per approssimazioni in difetto.
Un dato certo ce lo fornisce sicuramente l’Eurispes, che nell’ultima rilevazione compiuta nel 2015 ha spiegato che 8 italiani su 10 sono contrari alla caccia, mentre i favorevoli sono appena il 21,2 per cento della popolazione complessiva, in ulteriore riduzione rispetto al 2014, che aveva registrato un 24,4 per cento. A dispetto di ciò, i numeri della caccia restano impressionanti.
La stagione 2015
Non è mai facile delimitare il fenomeno, poiché tra aperture anticipate, deroghe di vario tipo, e decisioni localistiche che variano da regione a regione, non si ha sempre un’esatta dimensione del numero di animali uccisi né di incidenti: in linea teorica la stagione si apre a metà settembre e si chiude a gennaio, ma quest’anno si registrano chiusure anticipate a tutela di diverse specie in varie regioni, ovvero Umbria, Toscana, Veneto e Puglia. In base ai dati forniti agli organi di stampa nel 2015 si contano 16 morti e 64 feriti, tra cui tre minori, in calo rispetto al 2014-2015, quando a gennaio 2015 furono contate 88 vittime complessive, 22 morti e 66 feriti, secondo quanto dichiarato dalla Lav, la Lega anti-vivisezione che ogni anno si prodiga di fornire le cifre in materia. Altri numeri riguardo le vittime umane ce le fornisce l’Associazione vittime della caccia, secondo cui dei 64 feriti della stagione appena conclusa, un quarto sono persone estranee alla caccia, e limitandosi solo ai bambini, dal 2007 al 2015 abbiamo avuto 11 morti e 23 feriti, numeri da bollettino di guerra invece che di un ‘innocente hobby’.
Se la stagione venatoria si chiude ufficialmente il 31 gennaio, esiste in realtà una caccia illegale che dura tutto l’anno, stragi di animali compiute anche per paure ancestrali da parte di agricoltori e popolazioni locali soprattutto nei confronti di alcune specie, come ad esempio i lupi. E fare delle stime sulle vittime animali della caccia risulta necessariamente un lavoro parziale e non esaustivo, e nonostante ciò i numeri a nostra disposizione fanno rabbrividire.
Animali vittime della caccia
Il WWF, da sempre in prima linea per le campagne anti-caccia, afferma che solo durante la stagione venatoria vengono abbattuti 15 esemplari al giorno: dal punto di vista strettamente normativo è previsto un numero massimo di vittime animali che si possono uccidere, ma è utopistico pensare che tale limite venga davvero rispettato da tutti i cacciatori, al di là delle carenze che si registrano sotto il profilo dei controlli. Ma ammettendo anche solo per un attimo che questa soglia venga rispettata, se calcoliamo il numero massimo di animali che possono essere abbattuti ogni anno soltanto nelle regioni Veneto, Lombardia, Sicilia e Toscana, avremmo un numero pari a 154 milioni di animali uccisi ogni anno, e questo senza contare le vittime del bracconaggio. Ogni altro commento appare superfluo.
Danni all’ambiente
Ben poco si parla dell’impatto ambientale della caccia nell’ambiente naturale: secondo diverse ricerche scientifiche come quella dell’Ispra una conseguenza del malfunzionamento dei fucili e del numero di cartucce sparate è l’inquinamento da piombo, che avvelena il terreno e determina rischi sanitari per gli uomini come per le creature dei boschi, uccelli in primis, facendoli ammalare di saturnismo. Secondo quanto calcolato da esperti, sarebbero 500 milioni le cartucce sparate in un anno dai cacciatori italiani, pari a 25mila tonnellate di piombo, e se le raccogliessimo tutte avremmo all’incirca un volume pari a 11mila metri cubi.
Abolizione della caccia
Tutte le principali associazioni animaliste avanzano da tempo proposte di abolizione della caccia, e di fronte a questi numeri impressionanti verrebbe da dar loro immediatamente ragione. Tuttavia, fermandosi un attimo a riflettere, viene da chiedersi se davvero la soluzione sia attuare un divieto che rischia seriamente di non essere rispettato, oppure perseguire lungo la strada di una regolamentazione sempre più severa, con tutti i limiti e le carenze che registra il modello attuale, e su cui si deve necessariamente migliorare. Il timore è che limitarsi a dire ‘No alla caccia’, condivisibile al 100 per cento dal punto di vista filosofico, non farà altro che aumentare la ‘tendenza al vizio’, come accade per tutti i divieti assoluti, senza un’adeguata cultura ambientale che faccia ricredere gli amanti delle doppiette circa il loro ‘hobby’. Non bisogna sottovalutare che il peso del bracconaggio, della caccia illegale sul fenomeno è enorme, ed è in gran parte sommerso, sconosciuto alle rilevazioni statistiche: meglio allora chiedere un sistema di tutele e controlli più severo e stringente, e pretendere dal legislatore norme adeguate come il divieto di utilizzo dei richiami vivi, approvato dal Parlamento italiano nel 2015. Non vorremmo che un semplice no si trasformasse in un boomerang, una vittoria di Pirro che comporterebbe danni reali invece che supposti benefici.
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