La benedizione pasquale nella scuola pubblica si può fare. È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato in merito alla vicenda che vede protagoniste le scuole Carducci, Fortuzzi e Lavinia Fontana di Bologna. Lo scorso anno, la preside Daniela Turci e il presidente del Consiglio d’istituto Giovanni Prodi (nipote di Romano), avevano dato le aule scolastiche per la benedizione pasquale, scatenando la protesta di insegnanti e di alcuni genitori che avevano fatto ricorso al Tar. Il Tribunale amministrativo aveva dato loro ragione e aveva bloccato la benedizione; a quel punto, il Ministero dell’Istruzione si era rivolto al Consiglio di Stato per chiedere una sospensiva. Ora, l’ultimo capitolo: il Consiglio di Stato ha accolto la sospensione della sentenza del Tar fino al 28 aprile, quando si riunirà la Camera di Consiglio .
La vicenda bolognese si inserisce nel contesto più ampio del rapporto tra Stato e religione. In Italia il dibattito è molto sentito. Siamo un Paese a tradizione cattolica, abbiamo il Vaticano in casa, i riti religiosi scandiscono la vita di quasi tutti gli italiani, ma qualcosa sta cambiando. Il tema della laicità dello Stato è più sentito che mai, anche perché è entrato nell’agenda politica. Nonostante il cattolicesimo non sia più religione di Stato dal 1985, centrodestra e alcune parti del centrosinistra, hanno innalzato la difesa dei valori cattolici al primo posto delle loro battaglie politiche, usandola come arma contro la presunta “invasione musulmana” o contro battaglie sui diritti civili (l’ultimo caso è quello sul ddl Cirinnà)
Così, succede che una festa di Natale rinviata in una scuola di Rozzano diventi un caso nazionale, cavalcato dalla Lega Nord in primis. Matteo Salvini, con altri esponenti di destra come Maria Stella Gelmini e Ignazio La Russa, si presentano davanti alla scuola al grido di “Giù le mani dal presepe”, “Difendiamo il Natale”, senza aver neanche capito cosa era successo.
Molti politici hanno assunto la difesa della religione cattolica e dei suoi simboli a battaglia personale. Se Umberto Bossi ha creato negli anni Novanta il rito dell’ampolla del Po, rifacendosi a presunti miti celtico-padani, il figlio Renzo nel 2011 propose una legge regionale per rendere obbligatorio il crocifisso nei luoghi pubblici della Lombardia. La Lega è una delle forze che più usano la religione per la sua politica anti-immigrazione, appellandosi ai valori cristiani in difesa dell’italianità per poi negare la costruzione di luoghi di culto ai musulmani. Non è la sola. Tutti i partiti, di destra e di sinistra, devono fare i conti con l’elettorato cattolico e sono pronti a dare battaglia anche contro loro stessi pur di non irritare i cattolici. D’altra parte, il nostro Paese è stato governato per 40 anni da un partito che si chiamava Democrazia Cristiana.
Il caso di Bologna
Il caso di Bologna dimostra quanto sia difficile far convivere la laicità dello Stato e delle sue istituzioni e il sentimento religioso dei cittadini. I vertici del comprensorio scolastico avevano concesso le aule ai parroci per la benedizione pasquale. Insegnanti e parte dei genitori avevano protestato: non si può dare spazi scolastici pubblici, anche in orari extrascolastici, ad attività che non riguardano le funzioni della scuola. Da qui il ricorso al Tar che dà loro ragione. La sentenza 166/2016 ribadisce la laicità della scuola, ricordando che “non v’è spazio per riti religiosi” nelle aule scolastiche e che anche fuori dagli orari di lezione, le scuole devono ospitare “attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile”. Contro questa sentenza si è mossa non solo la preside ma addirittura il Ministero dell’Istruzione, riuscendo a bloccare il divieto.
Per di più, sempre a Bologna, nelle giornate pre-pasquali, il Comune ha aperto le porte ai parroci per la benedizione in orario di lavoro, scatenando la protesta di molti lavoratori. Per atei, credenti di altre confessioni e gli stessi cattolici è stato troppo.
Il crocifisso nei luoghi pubblici
Quello delle benedizioni bolognesi è solo l’ultimo capitolo di una questione ancora irrisolta che vede nella presenza del crocifisso nelle aule di Tribunali, uffici pubblici e scuole, il punto più caldo.
L’esposizione del simbolo cristiano per eccellenza non è sancita da una legge generale. Esiste una circolare risalente al 1926, in piena era fascista, che ne obbliga l’esposizione nei luoghi pubblici accanto alla foto del re. Altri due regi decreti del 1924 e 1926 lo inseriscono tra gli arredi delle scuole; i Patti Lateranensi del 1929 evitano l’argomento e, di fatto, ne rendono continuo l’uso. Con la Costituzione del 1948, all’articolo 7, si ha la divisione tra Stato e Chiesa, “ciascuno nel proprio ordine, sovrani e indipendenti”, ma si recepiscono anche i Patti Lateranensi (e quindi la religione di Stato). È solo con l’accordo di Villa Madama del 1985 sancisce che il cattolicesimo non è più religione di Stato.
Da allora, la magistratura e la politica si sono rimbalzate il tema. Interrogazioni parlamentari e ricorsi al Tar da parte di privati cittadini hanno posto la questione, al momento sempre smontata dal Consiglio di Stato. L’ultima risale al 2006, quando l’Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionali) fece ricorso contro la presenza del crocefisso nei luoghi pubblici, ricevendo un secco no. Secondo la sentenza, i due regi decreti si devono ritenere validi, perché “si deve pensare al crocifisso come ad un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato. Nel contesto culturale italiano, appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti, più di esso, a farlo”. Anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo si è espressa a favore con una sentenza del 2011. Il dibattito rimane aperto.
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