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Un italiano su 3 ha il fegato grasso e la patologia è in aumento tra i bimbi. L’allarme dell’esperto Francesco Angelico, responsabile del Day service Medicina interna e malattie metaboliche del Policlinico Umberto I di Roma: “La steatosi epatica non alcolica o malattia da fegato grasso, colpisce circa il 30% della popolazione generale adulta. Una percentuale che sale al 70-80% in pazienti con il diabete di tipo II o obesi. È un problema anche pediatrico, perché questa condizione è legata ad uno stile di vita non salutare sin dai primi anni di vita. Vediamo sempre più bambini in sovrappeso colpiti da fegato grasso e siamo molto preoccupati” anche perché la condizione asintomatica può portare a severi danni alla salute del fegato, fino alla cirrosi o all’epatocarcinoma.
In occasione della prima giornata mondiale sulla Nash si è fatto il punto sulla steatosi epatica non alcolica e sulla sua evoluzione la steatoepatite non alcolica (Nash o Non alcholic-steatohepatitis) attraverso un workshop per medici, pazienti, studenti e specializzandi del Policlinico Umberto I, dal titolo ‘Steatosi epatica non alcolica: come affrontare questa epidemia silenziosa in crescita’.
“Sono milioni gli italiani che ne soffrono – prosegue Angelico – c’è un’epidemia di fegato grasso. Uno dei motivi è che di solito veniva diagnosticata con una ecografia del fegato, un esame di routine, e veniva considerata una condizione ‘innocente’, non preoccupava. Si suggeriva alla persona di perdere qualche chilo e nulla di più. Oggi sappiamo che chi ha questo problema può andare incontro a due tipologie di rischio: la progressione del danno epatico che trasforma la steatosi in Nash, epatite da grasso originata non dall’alcol. Un’epatite vera e propria generata dal grasso in eccesso. Oggi – ricorda l’esperto – negli Usa si arriva al trapianto più per la cirrosi epatica da fegato grasso che da abuso di alcol o epatite virale. L’altro rischio sono le malattie metaboliche e cardiovascolari: chi ha il fegato grasso ha una probabilità più alta di andare incontro ad un infarto”.
Nella maggior parte dei casi la Nash è la conseguenza di una dieta ad alto contenuto di zucchero e di grassi e di un esercizio fisico insufficiente. “Ad oggi non c’è un farmaco efficace per curare questa condizione – aggiunge Angelico – se non ridurre il grasso, quindi il peso corporeo, e per farlo serve la prevenzione, sopratutto nei bambini”. La steatosi epatica può evolvere verso la Nash nel 40% dei casi. Questa si differenzia dall’accumulo semplice di grasso perché può evolvere verso patologie croniche irreversibili del fegato attraverso l’instaurarsi di infiammazioni e fibrosi.
“Il messaggio di questa giornata dovrebbe essere quello di mettere sul chi vive i diabetologi – suggerisce Angelico – Questi specialisti dovrebbero far fare una ecografia ai loro pazienti per identificare presto il fegato grasso”. Alcuni pazienti possono avvertire sintomi come dolore o disagio moderato nella zona superiore destra dell’addome, o affaticamento. Possono anche essere presenti altri sintomi più comunemente associati a malattie epatiche avanzate, ma – evidenziano i relatori del workshop – non sono segnali specifici della Nash, mentre potrebbero essere collegati ad altre condizioni.
“Una volta che si realizza una condizione di sovrappeso oppure obesità nei bambini è difficile tornare indietro in età adulta. Così – conclude Angelico – il ragazzo si porta dietro un bagaglio di problemi. I consigli ai genitori e ai pediatri sono di porre attenzione al problema e di modificare gli stili di vita dei giovanissimi. Ad esempio: ridurre l’assunzione di grassi, controllare le porzioni, evitare le bevande zuccherate, fare spuntini sani, leggere bene le etichette dei prodotti alimentarie infine fare attività fisica”.
In collaborazione con AdnKronos
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