La svolta sul caso di Stefano Cucchi è arrivata. Dopo l’annullamento dell’assoluzione dei medici, l’inchiesta bis per la morte del geometra romano, morto il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini di Roma mentre era in regime di custodia cautelare, vedrà un nuovo processo. Cinque i Carabinieri per cui la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio dopo la chiusura delle indagini. Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco dovranno rispondere dell’accusa di omicidio preterintenzionale, mentre Roberto Mandolini (comandante della stazione Appia dove la notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 venne arrestato Cucchi) e Vincenzo Nicolardi del reato di calunnia. “Finalmente i colpevoli della morte di mio fratello non potranno più nascondersi dietro una divisa“, è stato il commento a caldo di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, al termine dell’udienza.
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Stessa soddisfazione è stata espressa dal legale della famiglia Cucchi, l’avvocato Fabio Anselmo. “Oggi gli imputati finalmente subiranno un giusto processo per le loro gravissime responsabilità. Non potranno più nascondersi, non potranno più contare di farlo fare sulla pelle degli altri e nel dire altri dico tutti: imputati e parti civili“.
Le indagini della Procura di Roma, coordinate dal pm Giovanni Musarò, hanno convinto il gup che ha ordinato un nuovo processo, al via il prossimo 13 ottobre.
Le accuse per i militari dell’Arma, già indagati per lesioni personali aggravate, sono ora state circonstanziate: nel dettaglio, viene contestato di aver provocato la morte di Stefano Cucchi “con schiaffi, calci e pugni” e con “una rovinosa caduta con impatto al suolo della regione sacrale“, da cui le lesioni – guaribili in almeno 180 giorni, altre in parte permanenti – che hanno poi portato alla sua morte.
[npleggi id=”https://www.nanopress.it/cronaca/2017/02/14/stefano-cucchi-storia-di-uningiustizia-di-stato/28929/” testo=”Stefano Cucchi, storia di un’ingiustizia di Stato”]
I tre accusati di omicidio preterintenzionale dovranno rispondere anche del reato di abuso di autorità per aver sottoposto il giovane “a misure di rigore non consentite dalla legge“, con “l’aggravante di aver commesso il fatto per futili motivi, riconducibili alla resistenza posta in essere da Cucchi al momento del foto-segnalamento presso i locali della Compagnia di Roma Casilina“.
Secondo la procura, le lesioni hanno portato al ricovero in ospedale dove le condizioni fisiche si sono sommate al calo di peso “anche perché non si alimentava correttamente a causa e in ragione del trauma subìto“, fino alla morte.
Le indagini della procura romana hanno sottolineato come “la frattura scomposta della vertebra s4 e la conseguente lesione delle radici posteriori del nervo sacrale determinavano l’insorgenza di una vescica neurogenica, atonica, con conseguente difficoltà nell’urinare, con successiva abnorme acuta distensione vescicale per l’elevata ritenzione urinaria non correttamente drenata dal catetere“. Il quadro clinico “accentuava la bradicardia giunzionale con conseguente aritmia mortale“.
L’elenco delle lesioni subìte da Cucchi è ancora lungo e racchiuso nei referti medici: “tumefazioni alle guance e alla fronte, ecchimosi al cuoio capelluto di diverse entità, ecchimosi palpebrali bilaterali, ecchimosi dei solchi naso-labiali bilateralmente, ecchimosi del muscolo temporale destro, ecchimosi del prolabio vestibolare superiore“.
Il quadro, per la Procura, appare ora più chiaro: Stefano Cucchi è stato picchiato e ora un nuovo processo stabilirà se la sua morte ha delle responsabilità, nei modi e nei tempi previsti dalla legge, con tutte le garanzie del caso per chi dovrà subire il processo e per chi da anni aspetta giustizia.