La Cassazione ha annullato l’assoluzione dei medici dell’ospedale Pertini per la morte di Stefano Cucchi. La I sezione Penale della Corte Suprema ha accolto il ricorso della Procura di Roma che ha chiesto di annullare il verdetto dell’appello bis a favore dei medici Aldo Fierro, Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi Preite De Marchis e Silvia Di Carlo, prosciolti dall’accusa di omicidio colposo. Il Procuratore Generale Antonio Mura aveva chiesto di accogliere il ricorso criticando la sentenza dell’appello bis che aveva “eluso il mandato della Cassazione” e non aveva disposto “una nuova perizia“. L’annullamento dell’assoluzione è importante anche perché permette alla famiglia di Stefano Cucchi di chiedere il risarcimento ai cinque medici nonostante sia scattata la prescrizione per il reato di omicidio colposo 24 ore dopo la sentenza. “La mia giustizia consiste nel fatto che tutti hanno capito come e perché è morto Stefano Cucchi, questo ora l’hanno capito anche nelle aule di giustizia“, è stato il primo commento della sorella, Ilaria Cucchi.
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La decisione della Cassazione è un passaggio decisivo nella vicenda processuale per la morte di Stefano Cucchi, come ha ricordato anche il legale della famiglia, l’avvocato Fabio Anselmo. “Sono contento“, ha commentato fuori dall’Aula, sottolineando allo stesso tempo il ruolo dei periti della Corte nell’avvenuta prescrizione del reato a carico dei medici. “La prescrizione la dobbiamo ai medici legali e periti che sono intervenuti in quel processo di parte pubblica“, ha infatti aggiunto l’avvocato Anselmo.
L’iter processuale contro i cinque medici è stato lungo e contorto, sottolinea anche Ilaria Cucchi affidando il suo commento a Facebook: condannati in primo grado, erano stati assolti in appello e nel processo d’appello bis disposto dalla Cassazione nel giudizio di rinvio. Ora, con l’annullamento, nonostante la prescrizione del reato, i familiari di Stefano Cucchi e le parti civili costituite, compreso il Comune di Roma, hanno la possibilità di chiedere agli imputati il risarcimento dei danni.
STEFANO CUCCHI, STORIA DI UN’INGIUSTIZIA DI STATO
“Sono passati 7 anni, 5 mesi e 28 giorni dalla morte di Stefano Cucchi e siamo alla vigilia della prescrizione ed è difficile prendere la parola davanti alla morte tragica di un ragazzo e occuparsi di un processo travagliato arrivato ormai al quinto grado di giudizio su impugnazione della Procura, con un percorso faticoso alla ricerca della verità“, aveva esordito il Pg Mura nella sua requisitoria. Al centro della richiesta i “molteplici aspetti critici”, della sentenza di appello bis e il fatto che allora “i giudici hanno sovrapposto il loro punto di vista a quello dei periti senza avere gli stessi requisiti scientifici“.
La sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma del 2016, ha continuato Muro, ha “eluso il mandato” che la stessa Cassazione aveva chiesto con il processo d’appello bis, cioè di fare nuove perizie e accertare o escludere il nesso di causa tra la morte di Stefano Cucchi, ricoverato dal 17 al 22 ottobre del 2009, giorno della morte, dopo l’arresto per droga, e le mancate cure adeguate nonostante il giovane geometra romano arrivò in ospedale già in gravi condizioni fisiche con fratture, sotto peso e bradicardia.
L’iter giudiziario, ha proseguito il Pg Mura, “ha avuto un esito paradossale perché l’ultima sentenza ha finito per dichiarare l’impossibilità di accertare se le opportune terapie avrebbero potuto evitare o ritardare la morte di Stefano“, e lo ha fatto con motivazioni che contengono “errori rilevanti” e “contraddizioni intrinseche“.
Secondo il Pg Mura, i giudici hanno “sovrapposto indebitamente il giudizio, non scientifico, a quello del collegio di periti costituito da luminari che hanno affermato che Stefano Cucchi poteva essere salvato, o il suo decesso ritardato, se le terapie adeguate fossero iniziate il 19 ottobre se solo fossero stati letti congiuntamente tutti i dati delle analisi arrivate nel pomeriggio“.
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