Si riaprono le indagini sul caso di Stefano Cucchi, in attesa del processo in Cassazione dopo l’assoluzione di tutti gli imputati per la morte del giovane geometra romano, avvenuta il 22 ottobre 2009. La Procura ha avviato un’inchiesta bis nei confronti di tre carabinieri, il maresciallo Roberto Mandolini e gli appuntati Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro: scopo dell’indagine è accertare quanto accaduto dal momento dell’arresto il 15 ottobre 2009 all’udienza per direttissima il giorno successivo. Il sospetto degli inquirenti è che Stefano sia stato picchiato durante quella notte e proprio dagli uomini in divisa.
Come si è arrivati a questa decisione da parte della Procura? Il primo passo sono state le motivazioni della sentenza di secondo grado nel processo che ha assolto gli agenti carcerari, i medici e gli infermieri del Sandro Pertini. La Corte ha confermato che qualcuno deve aver picchiato Stefano Cucchi o comunque agito per provocargli tutte le lesioni che sono state riscontrate sul suo corpo. Se non sono stati gli agenti del carcere Regina Coeli, dove era in stato di fermo, allora deve essere stato qualcun altro, qualcuno che lo ha preso in custodia prima di loro: il sospetto è che queste risposte possano arrivare dai tre Carabinieri al centro dell’inchiesta bis.
Cosa c’è di nuovo
Cosa ha spinto la Procura ad avviare l’indagine? La necessità di aver delle risposte in merito alle ventiquattr’ore trascorse in mano agli uomini dell’Arma. La notte del 15 ottobre Stefano viene fermato verso l’una del mattino con l’accusa di spaccio; due ore dopo viene portato in cella alla caserma di Tor Sapienza. Nel mezzo, la perquisizione effettuata a casa dei genitori dove non venne ritrovata alcuna sostanza stupefacente ma che forse scatenò la rabbia del giovane che non voleva far sapere ai suoi dell’arresto.
Durante quelle ore e nelle successive a Stefano non venne mai scattata una foto segnaletica né prese impronte digitali o fatto un confronto con il database: tutti passaggi della procedura per il fermo che gli uomini della caserma di Tor Sapienza non fecero, al contrario di quanto avvenne in carcere dove il giovane fu fotosegnalato. Perché? Il sospetto del pubblico ministero Giovanni Musarò è che non venne fotografato per nascondere i segni delle botte che avrebbe preso già in auto, al ritorno dalla perquisizione. Il giovane si sarebbe innervosito dopo la perquisizione in casa dei genitori e avrebbe forse risposto male ai Carabinieri che avrebbero a loro volta reagito pestandolo.
L’indagine riparte da una dichiarazione del vicecomandante Mandolini ascoltato dalla Procura al tempo del primo processo. Secondo lui, fu Cucchi a non voler essere fotografato, mettendo a verbale queste parole: “Gli ha dato molto fastidio quindi si è subito un pochettino impressionato su questa cosa che doveva anda’ a fare”. In più c’è la frase che lo stesso Stefano disse al carabiniere all’ingresso nella caserma di Tor Sapienza al momento dell’ispezione, in merito alla richiesta di togliersi anche la cintura dei pantaloni. “Che ve devo dà pure ‘sta cintura che mi hanno rotto?”, disse il giovane. Chi gliel’aveva rotta? Forse gli uomini dell’Arma durante il pestaggio? Ora le indagini dovranno dare risposte anche a questi misteri.
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