Addio stipendio fisso, si verrà pagati in base ai risultati e a condizione che l’azienda faccia utili. La proposta porta la firma di Angelo Piccinin, 78 anni, fondatore e presidente del mobilificio Santa Lucia a Prata, in provincia di Pordenone: al rientro dalle ferie, l’imprenditore ha inviato un’ipotesi di referendum in una lettera ai suoi 140 dipendenti in cui propone di abbattere il costo del lavoro adeguando gli stipendi alla produttività. Nella lettera, pubblicata da il Gazzettino, Piccinin propone di rinunciare “temporaneamente al sistema contrattuale nazionale”, per creare “un sistema di regole nuovo basato su accordi trimestrali in modo che le buste-paga siano realmente calibrate sui reali e oggettivi risultati economici raggiunti dall’azienda”. Una proposta che sta facendo discutere e che ha già scatenato le prime reazioni.
L’idea sarebbe quella di pagare i dipendenti in base ad alcune variabili se l’azienda fa utile. Come ha spiegato lo stesso imprenditore in un’intervista al quotidiano, nel corso degli ultimi anni la crisi ha investito il settore e il Nord Est ha pagato le conseguenze più gravi, registrando una diminuzione degli addetti da 13mila a 6mila in sei anni. “Il nostro fatturato è sceso in questi anni più del 50% e dallo Stato non abbiamo avuto alcun sostegno”, lamenta Piccinin. Il vero problema, a suo dire, è l’elevato costo del lavoro italiano che rende imbattibile la concorrenza delle aziende estere, anche a prescindere dalla storia e dalla qualità dell’industria nostrana. Il mobiliere racconta di come un grosso cliente in Albania ha preferito un’azienda turca che ha prezzi inferiori della metà: l’episodio è indicativo delle difficoltà incontrate da chi ha deciso di rimanere in Italia.
Senza aiuti e con costi troppo alti, si avvicina la possibilità della chiusura. “Ora che l’azienda è in equilibrio non è più possibile redistribuire ricchezza che non si produce più”, scrive nella lettera ai dipendenti. “Se continuassimo in questo tremendo errore in poco tempo saremmo nella stessa situazione di prima. Se non peggiore e costretti a chiudere”.
Da qui l’idea di pagare gli stipendi in base alla produttività, con adeguamenti trimestrali a seconda del volume delle vendite. Alla base della proposta c’è sicuramente la grande difficoltà dell’imprenditoria italiana, alle prese con costi del lavoro eccessivi rispetto alla concorrenza estera, ma sarà difficile risollevare le sorti delle aziende puntando solo agli stipendi dei dipendenti.
In questo caso, i lavoratori non si sono fatti attendere e hanno risposto a stretto giro alla proposta. Lo ha fatto un manutentore in azienda da 41 anni, Gino Coran, sempre dalle pagine del Gazzettino. “C’è un piccolissimo dettaglio che il signor Piccinin omette: un dipendente della sua azienda guadagna mediamente 1200 euro al mese”, scrive. La diminuzione dello stipendio metterebbe in ginocchio le famiglie. “Me lo sa spiegare il signor Piccinin come faranno questi poveri diavoli a pagare le tasse, a mandare a scuola i figli, a mettere sulla tavola tre pasti al giorno, a pagare l’affitto, magari il mutuo stipulato in periodo di vacche grasse, le spese di manutenzione della casa, le bollette e i balzelli vari? In pochi mesi l’intera economia nazionale sarebbe ridotta al collasso”, è la sua conclusione.