La mattina del 28 maggio 1974, alle 10:02, esplode una bomba nascosta in un cestino porta rifiuti sotto i portici di piazza della Loggia a Brescia. La piazza è gremita di persone, accorse per la manifestazione antifascista indetta dai sindacati. Sul palco il segretario della federazione lavoratori metalmeccanici Franco Castrezzati sta parlando quando un colpo secco rompe l’aria. Si sentono le prime urla, le prime indicazioni date al microfono, lo choc dei momenti iniziali, poi la terribile scoperta: otto corpi straziati rimangono a terra, altri 102 sono i feriti. Il terrorismo nero ha colpito e lo ha fatto nel momento in cui la società civile si era raccolta per dire “basta” alla violenza. L’attentato, rivendicato da Ordine Nuovo, costa la vita a Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Tedeschi e Vittorio Zambarda.
L’esplosione di quella bomba durante una manifestazione antifascista, oltre che collocarsi storicamente negli anni e negli avvenimenti della “Strategia della tensione” è stata negli anni successivi spesso usata e strumentalizzata da diversi attori sociali e politici che rappresentano diverse facce della stessa medaglia, quella del potere dominante.
Nel luglio 2015 la seconda Corte d’assise di appello di Milano ha condannato all’ergastolo i due neofascisti appartenenti a Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Il tribunale ha stabilito che sono stati loro i mandanti dell’attentato, il primo come regista, il secondo come coordinatore, avendo partecipato alle riunioni organizzative.
L’appello era stato richiesto dalla Cassazione nel febbraio 2014: secondo la Corte, le conclusioni assolutorie con cui si era chiuso il primo processo d’Appello erano “ingiustificabili e superficiali”, a fronte della “gravità indiziaria” emersa a carico di Maggi dalle dichiarazioni di Carlo Digilio, pentito di Ordine Nuovo, condannato (con pena prescritta) per la strage di Piazza Fontana e morto nel 2005. I parenti delle vittime hanno accolto la lettura della sentenza in lacrime. “Giustizia finalmente è fatta, almeno un poco. La soddisfazione è grande”, aveva dichiarato l’avvocato Federico Sinicato, storico legale dei familiari delle vittime della strage. “La sentenza impone una profondissima riflessione su quegli anni dal ‘69 al ‘74”, ha ricordato Manlio Milani, il presidente dell’Associazione Familiari vittime di piazza della Loggia che quel giorno perse la moglie.
Chi sono i responsabili della strage di Brescia, questi due personaggi che hanno scritto alcune delle pagine più nere della storia italiana? Carlo Maria Maggi è un medico oggi ottantenne, originario del Veneto, che, accanto all’attività di geriatra, ha sempre svolto un ruolo politico fondamentale negli ambienti del terrorismo di destra. Insieme a Franco Freda, è lui il responsabile della cellula veneta di Ordine Nuovo, gruppo neofascista attivo dagli anni Sessanta in Italia. La sua storia giudiziaria permette di ripercorrere le stragi a firma del terrorismo nero. Viene condannato più volte: per reato associativo nel processo per la strage di Peteano del 31 maggio 1972 e per la ricostituzione del partito fascista nel 1988. Il suo nome è legato anche alla strage di Piazza Fontana a Milano e per quella alla Questura milanese: condannato in primo grado all’ergastolo, viene assolto con sentenza definitiva. Per la strage di Piazza della Loggia è stato assolto nel 2010 per insufficienza di prove, fino alla sentenza dell’Appello bis che lo ha condannato all’ergastolo. Maurizio Tramonte, padovano e membro della stessa cellula neofascista, viene definito nelle carte come l’ex “Fonte Tritone” dei servizi segreti del Sid, infiltrato nel gruppo per conto dei servizi.
Sono gli anni di piombo. L’Italia è percossa da attentati di matrice terroristica da anni e Brescia, nei primi mesi del 1974, è al centro di provocazioni da parte dei militanti dell’estrema destra che puntano a creare un clima di tensione tale da arrivare alla guerra civile. Il segretario provinciale del Movimento Sociale Italiano, Umberto Scaroni, il 28 gennaio manda agli iscritti una circolare: “Al termine del primo semestre del `74, anche a prescindere dall’esito delle importanti competizioni elettorali di primavera (il referendum sul divorzio, ndr) è anche prevedibile il maturarsi di una situazione generale di estrema tensione. Non abbiamo quindi tempo da perdere, perché in questi mesi dobbiamo preparare il partito ad ogni tipo di evenienze“.
Il 15 febbraio una bomba scoppia davanti a un supermercato, azione rivendicata dal SAM, Squadre di Azione Mussolini; il 9 marzo in Valcamonica vengono arrestati Kim Borromeo e Giorgio Spedini mentre stanno trasportando mezzo quintale di esplosivo; l’8 maggio viene trovata una borsa con otto candelotti di dinamite e tre etti di tritolo innescati con un detonatore e una miccia non innescata davanti alla sede provinciale della Cisl. Arrivano anche i primi arresti per alcuni neofascisti, ma questo non ferma il piano eversivo.
La notte tra il 18 e il 19 maggio in piazza Mercato, a poche centinaia di metri da piazza Loggia, il giovane neofascista Silvio Ferrari, collegato agli ambienti neri veronesi e sanbabilini, muore dilaniato da una bomba che stava trasportando in moto. Negli stessi istanti, in un’altra zona della città, un’auto targata Milano, con a bordo quattro esponenti di destra, finisce contro un muro: nel baule viene rinvenuto materiale propagandistico dell’MSI. A tutto questo la popolazione reagisce con una manifestazione indetta dai sindacati e dal Comitato antifascista di Brescia. Si sceglie la data del 28 maggio, alla presenza del sindacalista della CISL Franco Castrezzati, dell’on. del PCI Adelio Terraroli e del segretario della camera del lavoro di Brescia Gianni Panella.
Alle 10.02 uno scoppio terribile: esplode la bomba nascosta in un cestino porta rifiuti sotto i portici di piazza della Loggia. A terra rimangono otto morti e oltre cento feriti. Superate le prime fasi dei soccorsi, i vigili del fuoco inondano d’acqua la piazza, cancellando per sempre le prove della strage.
La storia processuale per la strage di Piazza della Loggia ha visto depistaggi, condanne trasformate in assoluzioni da un grado all’altro, verità nascoste e protezionI dall’alto per alcuni. Le prime indagini portano alle condanne nel 1979 di diversi esponenti dell’estrema destra, ma nel giudizio di secondo grado, del 1982, le condanne si trasformano in assoluzioni, riconfermate dalla Corte di Cassazione nel 1985.
Un secondo filone di indagine, aperto in seguito alle rivelazioni di alcuni pentiti, riapre il processo fino alla fine degli anni ’80, quando gli imputati vengono assolti per insufficienza di prove e prosciolti in appello nel 1989. Nell’aprile 2015 Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte sono stati rinviati a giudizio per l’attentato di piazza della Loggia, e giudicati colpevoli due mesi dopo. Perché ci sono voluti 41 anni per condannarli? La risposta l’ha data la Corte Costituzionale che ha parlato di “ipergarantismo dei giudici“. La Suprema Corte ha infatti chiarito che i neofascisti sono stati salvaguardati in qualche modo dall’eccessivo garantismo dei magistrati che si sono occupati del caso, che ha portato a una distorsione dei fatti e a una riduzione dell’importanza indiziaria a carico degli imputati.
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