Non c’era solo Cosa nostra dietro la strage di via D’Amelio costata la vita al giudice antimafia Paolo Borsellino e alla sua scorta. Nell’attentato che sventrò il cuore di Palermo 57 giorni dopo Capaci, quel 19 luglio 1992, altri interessi al di là della criminalità organizzata.
A riportare questo inciso sono i giudici del Tribunale di Caltanissetta, nero su bianco nelle motivazioni della sentenza sul depistaggio delle indagini che ha chiuso il processo con la prescrizione del reato di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia contestato ai poliziotti Mario Bo e Fabrizio Mattei e con l’assoluzione del terzo agente imputato, Michele Ribaudo.
Ansa riporta alcuni passaggi chiave delle conclusioni dei giudici di Caltanissetta all’esito del processo per il depistaggio sulla strage di via D’Amelio a carico di tre poliziotti (uno dei quali assolto e reato prescritto per gli altri due).
“L’istruttoria dibattimentale – cita uno stralcio delle motivazioni della sentenza – ha consentito di apprezzare una serie di elementi utili a dare concretezza alla tesi della partecipazione (morale e materiale) alla strage di Via D’Amelio di altri soggetti (diversi da Cosa nostra) e/o di gruppi di potere interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino“.
A dimostrare l’ingerenza di terzi soggetti oltre Cosa nostra, secondo il Tribunale, sarebbero alcuni elementi tra cui la “anomala tempistica” della strage costata la vita a Borsellino, avvenuta a soli 57 giorni da quella di Capaci in cui fu assassinato il collega Giovanni Falcone.
Ci sarebbe dell’altro a determinare, secondo i giudici, che non fu solo la criminalità organizzata a interessarsi di eliminare Paolo Borsellino.
Il pentito Gaspare Spatuzza riferì infatti della presenza di una persona estranea alla mafia nel momento in cui si consumò la consegna della Fiat 126 imbottita di tritolo e la sparizione della famosa agenda rossa di Borsellino.
Nelle motivazioni della sentenza, secondo quanto citato dall’Ansa, si legge inoltre che per i giudici “non è aleatorio” credere che la tempistica con cui è stata portata a termine la strage di Via D’Amelio rappresenti elemento anomalo rispetto al “tradizionale contegno di Cosa nostra volto, di regola, a diluire nel tempo le sue azioni delittuose nel caso di bersagli istituzionali (soprattutto nel caso di magistrati) e ciò nella logica di frenare l’attività di reazione delle istituzioni“.
La riferita presenza, altrettanto anomala e misteriosa, di un soggetto estraneo a Cosa nostra quando l’agenda rossa fu sottratta all’attenzione dal teatro della strage, nell’immediatezza dell’attentato, per i giudici si spiegherebbe soltanto alla luce della “appartenenza istituzionale” dello stesso “non potendo logicamente spiegarsi altrimenti il fatto di consentire a un terzo estraneo alla consorteria mafiosa di venire a conoscenza di circostanze così delicate e pregiudizievoli per i soggetti coinvolti come la preparazione dell’autobomba destinata all’uccisione di Paolo Borsellino“.
Per i giudici di Caltanissetta, inoltre, la sparizione dell’agenda rossa “non è riconducibile ad una attività materiale di Cosa nostra“, un elemento, questo, che secondo la sentenza “può ritenersi certo“.
Impossibile, con gli elementi in campo, arrivare all’esatta individuazione della persona che operò l’asportazione dell’agenda del giudice, ma una certezza granitica farebbe da cardine al sospetto di un interesse esteso ben oltre le maglie della mafia sul materiale che Borsellino aveva in mano all’epoca della lotta alla criminalità organizzata.
“È indubbio – scrivono i giudici – che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e, per conoscenze pregresse, sapeva cosa era necessario o opportuno sottrarre“.
Un esperto, dunque, che per via della propria posizione avrebbe agito senza essere intercettato.
L’agenda rossa di Borsellino avrebbe costituito certamente un elemento probatorio portante nella ricostruzione del movente della strage di via D’Amelio, e la sottrazione chirurgica della stessa, con un intervento che i giudici descrivono come “invasivo, tempestivo ed efficace“, certificherebbe l’interesse di soggetti esterni a Cosa nostra perché il quadro delle indagini venisse irreversibilmente alterato.
Tale attività, che si sarebbe consumata all’ombra della mafia, avrebbe avuto come scopo principale quello di impedire che il fuoco investigativo si orientasse anche sulle matrici non mafiose dell’eccidio.
I giudici di Caltanissetta, nel ripercorrere i tratti salienti del depistaggio sulla strage di via D’Amelio, in sentenza, come riporta ancora l’agenzia di stampa, avrebbero inoltre sottolineato l’impossibilità di arrivare alla verità anche per i buchi registrati nelle testimonianze di molti soggetti escussi.
Non solo spettatori, ma anche “attori” delle vicende oggetto d’indagine che, sentiti sui fatti di via D’Amelio, avrebbero mostrato una “ritrosia” tale da impedire di rendere resoconti integralmente genuini di quanto a loro conoscenza.
Tutto questo avrebbe portato ad un vicolo cieco nel percorso per arrivare all’accertamento pieno dei fatti e a una ricostruzione compiuta dal punto di vista processuale.
Un ostacolo denso di silenzi insuperabili, insomma, come sottolineato dai giudici nelle loro motivazioni in cui emerge nitido il ritratto di un “fallimento del sistema“: “Tra amnesie generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni (soprattutto i componenti del Gruppo investigativo specializzato Falcone-Borsellino della Polizia di Stato), e dichiarazioni testimoniali palesemente smentite da risultanze oggettive e da inspiegabili incongruenze logiche, l’accertamento istruttorio sconta gli inevitabili limiti derivanti dal velo di reticenza cucito da diverse fonti dichiarative, rispetto alle quali si profila problematico ed insoddisfacente il riscontro incrociato“.
Antonio Vullo, l’unico agente di scorta di Paolo Borsellino sopravvissuto alla strage di via D’Amelio, ha affidato ai microfoni di Adnkronos un commento sulle motivazioni della sentenza di Caltanissetta.
Piano, piano stiamo arrivando alla verità. Finalmente dei giudici hanno messo nero su bianco che non fu solo Cosa nostra a uccidere il giudice Borsellino.
Un buon punto di partenza, per Vullo, sebbene resti ancora moltissima strada da percorrere per arrivare a fare piena luce sui fatti del 1992.
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