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Si sentono particolarmente colpiti dalla tragedia avvenuta nel locale Pulse di Orlando, eppure i sopravvissuti alla strage non possono donare il sangue perché gay. Nell’attentato sono rimaste ferite 53 persone, eppure chi ha espresso il desiderio di aiutare attraverso la donazione di sangue non può farlo: “Qui noi Lgbt siamo una comunità, una famiglia. Questo massacro non colpisce alcuni, tocca tutti”, ha spiega Fatriana Evans, sopravvissuta.
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Hanno visto l’orrore con i propri occhi e ne sono usciti, ma la Food and Drug Administration, ente governativa statunitense è chiara sulla policy del Paese: chi ha avuto rapporti con persone dello stesso sesso non può donare sangue a meno che non abbia praticato l’astinenza per almeno un anno. Di recente la posizione è stata alleggerita, fino a un anno fa infatti, era impossibile in America per persone omosessuali donare il sangue in base a una normativa risalente al 1983. Regole simili agli Stati Uniti sono adottate anche in Gran Bretagna e in Australia, ma non in Italia dove non esiste alcun tipo di limite.
Dopo quanto accaduto a Orlando la comunità lgbt è in rivolta per i vincoli imposti dalla Food and Drug Administration. L’attivista John Paul Brammer denuncia su The Guardian: “La policy sulle donazioni, che è datata ed è un simbolo di oppressione, deve finire. Voglio un futuro in cui poter essere solidale”.
Stefano Valla, esperto di Aids dell’Istituto superiore di sanità, spiega a Repubblica che il problema non è l’essere omosessuale, “esistono i comportamenti sbagliati a prescindere dall’orientamento sessuale” e in più spiega che “l’Aids colpisce il 90% degli etero”, per cui sembra il dubbio è che la policy americana possa essere fondata più sul pregiudizio che non su basi scientifiche.