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Strage via d’Amelio, 25 anni fa l’attentato a Paolo Borsellino: un processo infinito tra “schifezze e menzogne”

Non sono bastati quattro processi per fare luce sulla strage di via D’Amelio che 25 anni fa costò la vita a Paolo Borsellino. Il 19 luglio 1992 una Fiat 126 rubata, contenente 90 chilogrammi di tritolo, esplose in via Mariano D’Amelio a Palermo, sotto casa della mamma del magistrato. Oltre a Borsellino morirono i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. A uccidere il magistrato fu la mafia: diversi boss di Cosa Nostra furono condannati negli anni. Ma la mafia aveva dei mandanti occulti: chi erano? E che fine ha fatto l’agenda rossa di Borsellino? Nel giorno del 25esimo anniversario della strage via d’Amelio, esplode di nuovo la rabbia della figlia di Paolo Borsellino, Fiammetta, contro “questi 25 anni di schifezze e menzogne”. “Le indagini a Caltanissetta? – attacca – Era una Procura massonica”.

Nel giorno del 25esimo anniversario della morte del padre, Fiammetta Borsellino si sfoga in un’intervista al Corriere della Sera.

Dichiarazioni forti e amare, quelle della donna, che prova rabbia al pensiero di “questi 25 anni di schifezze e menzogne”.

Alla commissione antimafia presieduta da Rosi Bindi “consegnerò inconfutabili atti processuali dai quali si evincono le manovre per occultare la verità sulla trama di via D’Amelio”.

Fiammetta Borsellino accusa anche parte della magistratura: “Mio padre non si meritava giudici alle prime armi. Ai magistrati in servizio al momento della strage di Capaci rimprovero di non avere mai sentito mio padre, nonostante avesse detto di volere parlare con loro”.

La figlia di Paolo Borsellino racconta di come lei e i familiari siano stati lasciati soli: “Nessuno si fa vivo con noi. Non ci frequenta più nessuno. Né un magistrato. Né un poliziotto. Si sono dileguati tutti. Le persone oggi a noi vicine le abbiamo incontrate dopo il ’92. Nessuno di quelli che si professavano amici ha ritenuto di darci spiegazioni anche dal punto di vista morale. Mio padre fu lasciato solo in vita e dopo. Dovrebbe essere l’intero Paese a sentire il bisogno di una restituzione della verità. Ma sembra un Paese che preferisce nascondere verità inconfessabili”.

I mandanti (non gli unici) della strage di via D’Amelio
Tra i mandanti principali della strage ci fu Totò Riina, condannato all’ergastolo nel 1999. Insieme a lui, tra i vari processi, vengono condannati con la stessa pena altri boss come Pietro Aglieri , Bernardo Provenzano e Giuseppe Graviano. Quest’ultimo, affiliato alla famiglia mafiosa di Brancaccio, fu colui che azionò il telecomando dell’autobomba.

Ma non sono i soli responsabili. Oltre alla mafia si nascondono esponenti della politica e dello Stato. Rimasti misteriosi grazie ai tanti depistaggi di oltre venti anni di processi. L’ultimo dei quali è ancora in corso.

Chi costrinse Vincenzo Scarantino a mentire?
La storia dei processi per la strage è infinita, ingarbugliata di nomi, testimonianze, versioni ribaltate, condanne e assoluzioni, sentenze rovesciate. Una storia ricca di errori, menzogne, false verità, depistaggi che non hanno mai allontanato il sospetto che parti deviate dello Stato fossero coinvolte e complici del braccio armato mafioso.

Le falsità più eclatanti fuoriescono dal primo processo, quando i falsi pentiti Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino (pregiudicati con precedenti per rapina, spaccio di droga e violenza sessuale) provocano la condanna di innocenti.

I due si autoaccusano del furto dell’auto usata per l’attentato e accusano di essere gli esecutori della strage alcune persone che resteranno in carcere per quasi vent’anni. Salvatore Profeta, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Giuseppe Urso, Cosimo Vernengo, Gaetano Murana, Gaetano Scotto e Vincenzo Scarantino, condannati nei processi “Borsellino uno” e “Borsellino bis”, verranno scarcerati solo nel 2011.

Da Gaspare Spatuzza al “processo quater”
Scarantino, nel 2009, dichiarerà di avere subito maltrattamenti durante la detenzione nel carcere di Pianosa e di essere stato costretto a mentire dal questore Arnaldo La Barbera (morto nel 2002) e dal suo gruppo investigativo. La revisione dei precedenti processi, con la scarcerazione degli innocenti, avviene con il “processo quater”.

Processo nato nel giugno del 2008 (e ancora in corso), quando l’ex mafioso di Brancaccio Gaspare Spatuzza, considerato attendibile (soprattutto dopo le deposizioni dell’altro collaboratore Fabio Tranchina), inizia a collaborare con la giustizia, autoaccusandosi del furto della Fiat 126 utilizzata nell’attentato. Smentendo quindi la versione di Scarantino e Candura e confermando, di fatto, che qualcuno aveva interesse a oscurare la verità.

Di calunnia sono accusati Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci. Di strage Salvo Madonia e Vittorio Tutino

Il mistero dell’agenda rossa di Borsellino
Come quella contenuta nell’agenda rossa di Borsellino, da cui il magistrato non si separava mai, e su cui probabilmente aveva appuntato informazioni riservate e scottanti. Molti avevano interesse affinché sparisse, e così è stato.

Dopo l’esplosione della 126, l’agenda non è più stata ritrovata. Fu accusato di furto e favoreggiamento della mafia (ma poi prosciolto) un carabiniere in borghese visto mentre si allontanava con la borsa subito dopo la strage. Borsa poi ufficialmente ritrovata in auto, ma senza agenda. Qualcuno l’ha fatta sparire.

Gli aderenti al Movimento delle Agende Rosse, fondato dal fratello di Paolo, Salvatore Borsellino, spiegarono: “In quel diario sono contenuti appunti sugli incontri ed i colloqui che Borsellino ebbe con collaboratori di giustizia e con rappresentanti delle Istituzioni. Si tratta di elementi determinanti per mettere a fuoco le complicità di pezzi dello Stato con Cosa Nostra. Chi si è appropriato dell’agenda può oggi utilizzarla come potente strumento di ricatto proprio nei confronti di coloro che, citati nel diario, sono scesi a patti con l’organizzazione criminale”.

“Stato coinvolto? Mio padre ucciso due volte”
Questa la testimonianza di Lucia Borsellino, figlia del magistrato, in un’udienza del “processo quater” a Caltanissetta: “Il 19 luglio del 1992, il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, un’agenda rossa da cui non si separava mai. Non so perché la usasse o cosa ci fosse scritto perché non ero solita chiedergli del suo lavoro. Dopo la strage la borsa ci venne riconsegnata dal questore Arnaldo La Barbera, ma mancava l’agenda rossa”.

Nel luglio 2016, a proposito del presunto coinvolgimento dello Stato nella strage, la donna ha affermato: “Se certe evidenze che emergono anche da questo processo dovessero essere confermate, mio padre sarebbe ucciso due volte”. Del resto sono troppi, e poco credibili, i “non ricordo” da parte dei funzionari della polizia interrogati. Coinvolti nella nuova inchiesta sui possibili depistatori, gli stessi poliziotti che avrebbero costretto Scarantino a mentire. Oscurando la verità sulla morte di Borsellino.

Processo quater: le richieste di condanna
Il processo quater va avanti nelle aule del tribunale nisseno e a dicembre 2016 sono arrivate le richieste di condanna da parte del procuratore Capo di Caltanissetta Amedeo Bertone: ergastolo per i mafiosi Salvo Madonia e Vittorio Tutino, ritenuti responsabili della strage di via D’Amelio; condanna a 8 anni e 6 mesi per Vincenzo Scarantino e 14 anni per Francesco Andriotta e Calogero Pulci, i tre falsi pentiti accusati di calunnia in seguito alle false dichiarazioni rilasciate dopo l’attentato.

Avvocato dello Stato: “Nessuna trattativa con la mafia”
Nel processo quater sono coinvolti anche presidenza del Consiglio, presidenza della Regione Sicilia, ministeri dell’Interno e della Giustizia, per la storia della presunta trattativa Stato-mafia. A gennaio 2017 ne ha parlato Salvatore Faraci, l’Avvocato dello Stato, durante l’arringa in aula: “Dal quarto processo per la strage di via D’Amelio non sono emersi elementi per sostenere l’esistenza di una trattativa tra lo Stato e Cosa nostra.

Un giudizio su questa vicenda lo darà comunque la Corte d’Assise di Palermo che sta celebrando il processo su questi fatti. Non sono arrivati riscontri sul punto e le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, che dovevano rappresentare la prova regina, si sono rivelate contraddittorie, inattendibili e manipolatorie. Anche i documenti da lui forniti sono risultati contraffatti”. Faraci ha inoltre riconosciuto l’attendibilità del pentito Gaspare Spatuzza, ribadito le responsabilità di Salvo Madonia e Vittorio Tutino nella strage e le falsità raccontate dai tre pentiti di cui sopra.

“Per la strage siamo di fronte a un depistaggio serio”
Di depistaggi ha parlato anche Rosalba Di Gregorio, avvocato di Gaetano Murana. Uno di quelli finiti ingiustamente in carcere per vent’anni, in seguito alle false accuse di Scarantino e Candura: “Per la strage di via d’Amelio siamo di fronte ad un depistaggio serio. Scarantino da solo non può aver inventato la strage. Stiamo parlando di un personaggio squallido ma che sicuramente non è mafioso. La Procura ha parlato di depistaggio a più voci. Ma sono soltanto le voci dei tre balordi?”.

Ricordiamo ancora le parole di Lucia Borsellino: “Se fosse provato qui un depistaggio mio padre sarebbe stato ammazzato due volte”.

Francesco Minardi

Francesco Minardi è stata collaboratore di Nanopress dal 2016 al 2018, occupandosi principalmente di cronaca e politica interna ed estera,

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