Stress test delle banche, cos’è, come funziona, a cosa serve l’analisi dell’Eba e quali sono i risultati del 2016? Andiamo per gradi e scopriamo insieme perché l’Eba, ossia l’autorità bancaria europea, mette sotto esame le banche della zona Euro. Partiamo con lo spiegare che gli stress test servono a misurare la solidità degli Istituti di Credito, ovvero il grado di resistenza di una banca in caso di crisi, ad esempio come una forte recessione o se ci sono turbolenze di mercato. Più le banche sono solide, più riescono a superare il test con un segno positivo.
Cosa sono gli stress test
Abbiamo accennato che gli stress test sono degli esami che l’autorità bancaria europea svolge su 51 banche europee (nel 2016 il numero di banche coinvolte è diminuito: nel 2014 erano 124 e comprendevano anche le banche minori), ovvero quelle con un attivo superiore ai 30 miliardi. Questo tipo di verifiche sono state introdotte per la prima volta dopo la crisi del 2008, con lo scopo di fornire garanzie agli investitori e mantenere alta la fiducia sul futuro di una data banca.
A cosa servono
Questi esami servono a testare la solidità delle banche, ovvero la possibilità di resistere a situazioni e periodi di crisi: in pratica gli stress test servono a testare e verificare le ‘garanzie’ finanziarie degli istituti. L’Eba, dopo aver analizzato le banche e il loro comportamento prevedendo in ipotesi degli scenari molto diversi tra loro, pubblica i risultati degli stress test, e questo va a coinvolgere l’andamento della Borsa.
Come funzionano
In base agli scenari di crisi ipotizzati dall’Eba (si prende ad esempio ad esame una situazione ‘base’ di crescita e una ‘avversa’ di recessione e calo del PIL), l’autorità bancaria europea verifica gli effetti sui capitali di ciascuna banca. I dati così ipotizzati e prodotti formano il quadro della situazione della banca: in pratica se è solida e può superare un periodo di stress oppure no. I risultati prodotti saranno sottoposti al vaglio della Banca Centrale Europea, la quale nel prossimo autunno-inverno, dopo aver concluso l’esame SREP (Supervisory review and evaluation process) potrebbe richiedere delle correzioni per le banche che dovessero presentare debolezze.
I risultati in Europa
Monte dei Paschi, Raiffeisen in Austria, Banco Popular in Spagna e due delle principali banche irlandesi hanno ottenuto i peggiori risultati negli stress test 2016. “Mentre riconosciamo la vasta raccolta di capitali fatta finora, questo non è un certificato di buona salute” ha detto il presidente Eba, Andrea Enria, “rimane del lavoro da fare“. Anche le più grandi banche tedesche, Deutsche Bank e Commerzbank, sono nella Top 12 delle banche più deboli, ma “Il settore bancario oggi è più resistente e può assorbire meglio gli shock economici rispetto a due anni fa“, ha dichiarato Daniele Nouy, che dirige la supervisione presso la Bce. All’inizio della prova, partendo da fine 2015 i 51 istituti di credito avevano un rapporto del 12,6 per cento. Valore che scenderebbe in caso di scenario avverso, a fine 2018 al 9,2 per cento, un calo medio di 340 punti base, equivalente a 226 miliardi di euro di capitale. Secondo l’Eba, il costo di un tale choc sarebbe di 71 miliardi di euro. L’impatto più grande sarebbe per le perdite sui crediti, in totale quasi 350 miliardi.
I risultati in Italia
Quattro delle 5 banche italiane coinvolte negli stress test dell’Eba hanno ottenuto risultati positivi, pesa invece molto la bocciatura di Mps. La banca senese ha però posto le basi per un piano già approvato dalla commissione europea, oltre che dalla Bce, che stando alle sue dichiarazioni, “mitigherà significativamente” l’esito disastroso degli esami Eba. Secondo i risultati dello stress test 2016, infati, il Monte dei Paschi di Siena vedrebbe il suo Cet1 al 12,01% nel 2015, scendere al -2,23% se si avverasse lo scenario negativo previsto dagli stress test dell’Eba, con un calo di 1.423 punti base. Il Banco Popolare invece passerebbe dal 13,15% al 9,05% con un calo di 410 punti. Intesa Sanpaolo passerebbe dal 12,98% al 10,24%, -274 punti base, Unicredit dal 10,59% al 7,12% a -347 punti base, Ubi dal 12,08% all’8,85% a -323. Questi quattro Istituti, quindi, anche secondo la Banca d’Italia, mostrano una buona tenuta, con l’impatto ponderato rispetto ai coefficienti di partenza, derivante dallo scenario avverso, che registra cali medi di 3,2 punti percentuali a fronte del 3,8 per cento della media del campione Eba. Fonti del Tesoro, commentando gli stress test sottolineano “come questi dimostrino la solidità del sistema bancario italiano nel suo insieme“.
La nota della Banca d’Italia
La Banca d’Italia, in una nota diffusa dopo la pubblicazione degli esiti degli stress test Eba, evidenzia come “per le banche con rating deboli, la combinazione del principio del bilancio statico con l’ipotesi dello shock idiosincratico è particolarmente penalizzante, in quanto assume l’erogazione di nuovi finanziamenti già in perdita fin dal momento della concessione“. Sui risultati delle banche con una consistenza elevata di prestiti deteriorati presenti nei loro bilanci 2015, come molte banche italiane, “ha inciso negativamente la non contabilizzazione di tutti gli interessi a essi relativi“. Ai fini della formazione del margine di interesse, l’esercizio considera infatti non produttivi di interessi sia i finanziamenti facenti capo a debitori insolventi sia quelli riconducibili a inadempienze probabili e a esposizioni scadute/sconfinanti, nonostante vi siano, per quest’ultima categoria di prestiti, probabilità non trascurabili che il debitore torni a onorare i propri impegni, come avvenuto anche negli anni scorsi. Al fine di assicurare confronti omogenei tra le banche, a prescindere dai trattamenti fiscali dei differenti paesi, la metodologia vieta inoltre il riconoscimento dei benefici fiscali da differenze temporanee, come ad esempio quelli derivanti dalla svalutazione degli strumenti finanziari iscritti nel portafoglio disponibile per la vendita (Available For Sale, AFS); tale scelta amplifica l’impatto dello shock derivante da un deterioramento del rischio sovrano sui titoli di Stato in portafoglio e penalizza le banche che detengono titoli della specie. Come è noto, i principi contabili consentono la creazione di tali differenze; la normativa prudenziale ne prevede, in condizioni ordinarie, un trattamento meno penalizzante.
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