A sei anni dallo stupro di gruppo avvenuto a Parma nel centro sociale di via Testi, sede della RAF (Rete antifascista di Parma), il muro di omertà che aveva protetto gli aguzzini e colpito la vittima si sgretola. Dal blog “Abbatto i muri”, è arrivato il comunicato di un gruppo di donne che si firma Romantic Punx e che punta il dito contro il silenzio omertoso di cui si è reso protagonista tutto l’ambiente della sinistra antagonista. Il processo è in corso: quattro gli indagati (di cui uno non reperibile perché all’estero) che dovranno rispondere di quanto avvenne la notte del 12 settembre 2010 quando violentarono a turno una ragazzina appena maggiorenne e in stato di incoscienza, riprendendo tutta la scena con il telefonino. Alla violenza fisica si è aggiunto lo scherno, la derisione, un nomignolo crudele e osceno e l’omertà. La giovane è stata trattata come un parìa, allontanata e vilipesa perché “ha parlato con gli sbirri”. Una storia agghiacciante in tutti i dettagli da qualunque parte la si guardi.
Il lungo comunicato, pubblicato da Romantic Punx, insieme a “un gruppo di Guerriere Sailors” e che si fa portavoce di altre associazioni citate nel blog (Generiot, ArtLab Occupato, Casa Cantoniera Autogestita, Rete Diritti in Casa, Parma Antifascista), passa in rassegna le colpe di tutti i protagonisti della vicenda, a partire da chi ha compiuto la violenza fino a chi li ha difesi, attaccando la vittima perché rea di aver parlato.
La ricostruzione dei fatti
Tutto inizia la sera del 12 settembre di sei anni fa quando nelle sale dell’edificio di via Testi, autogestito e sede della Raf “un numero imprecisato di individui (da 4 a 6) ha preso parte attivamente e/o come spettatore ad uno stupro di gruppo ai danni di una ragazza, che da poco aveva compiuto diciotto anni“, si legge nel post.
La giovane viene ripresa mentre è incosciente, probabilmente stordita dai suoi stessi aguzzini, stesa sul tavolo alla mercé degli stupratori: la violentano a più riprese mentre lei appare “quasi morta”, immobile e incapace di reagire. Arrivano a violarla con un fumogeno, oggetto simbolo di cortei e manifestazioni: a sfregio finale, la violenza viene ripresa con un telefonino. Il video diventa virale, gira tra gli ambienti e la giovane diventa “la ragazza del fumogeno”. Lei non ha parlato, non ha detto nulla, per vergogna, per paura , per proteggere se stessa e la sua famiglia da un ambiente che diventa ogni giorno più ostile. Non sa neanche da dove arrivi quel soprannome: neanche quando lo scopre denuncia i suoi aguzzini.
Nel 2013 però il video arriva nelle mani dei Carabinieri, impegnati in altre indagini che riguardano la Raf e il centro sociale di via Testi. Le immagini permettono di risalire ai protagonisti di quella notte assurda: quando la interrogano, inizia a cedere e a ricordare i nomi di chi c’era quella sera. Nel frattempo, il muro di omertà inizia a crescere. Tutti hanno visto il video, tutti sanno ma nessuno parla, specialmente con gli “sbirri”. Le indagini vanno avanti e tre delle quattro persone riconosciute vengono messe ai domiciliari in attesa del processo: si tratta di Francesco Cavalca, 25 anni, Francesco Concari, di 29 anni, e Valerio Pucci, di 24 anni.
Qualche settimana fa il processo è arrivato in Aula. La vittima, costituitasi parte civile, era sola, come lo è sempre stata in questi anni, scacciata e offesa da tutti in quell’ambiente che si fregia di essere “alternativo” e che è invece esattamente uguale alla società borghese che tanto disprezza. Intorno ai “compagni” è stato creato un muro di omertà che ha protetto gli aguzzini e ferito di nuovo la vittima, accusata di essere “l’infame” anche da parte delle donne del gruppo. Qualcosa però si è spezzato. “Un abbraccio alla donna che sta affrontando un processo sulla propria pelle, in termini giudiziari e sociali, fino all’ostracismo nei suoi confronti in sedi e ambienti politici”, scrivono le ragazze sul blog.
Il caso di Parma ha molte analogie con altre vicende simili. A Firenze, una giovane ha visto i suoi stupratori assolti in Appello perché i giudici hanno deciso che, visto che lei era ubriaca, quello che le era accaduto era “increscioso, non encomiabile”, ma “penalmente non censurabile”. Anche allora, la vittima ha pubblicato il suo sfogo sul blog “Abbatto i muri”, sottolineando come a essere giudicata è stata lei e non i suoi violentatori.
La colpevolizzazione della vittima è prassi comune nei casi di stupro. Lo abbiamo visto nella vicenda della ragazzina violentata dal branco in Calabria che si è trovata contro un intero paese, convinto che “se l’era andata a cercare”.
Lo sentiamo dire in ogni caso di violenza sessuale. Abbiamo visto come diamo sempre colpa alla vittima. Lo hanno fatto anche i sedicenti “compagni”, coloro che credono di essere meglio dello Stato, del potere, della “società” e che invece sono anche peggio. “Uno stupro è sempre e comunque un atto fascista, anche se chi lo commette si dichiara antifascista”, scrivono le ragazze sul blog e hanno ragione. Uno stupro è sempre una violenza. Senza se e senza ma.
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