Con l’arresto di Guerlin Butungu, l’intera banda accusata degli stupri di Rimini è stata assicurata alla giustizia. Butungu, rifugiato congolese di 20 anni, è stato l’ultimo a finire in manette. Ha provato a negare tutto, quando gli inquirenti lo hanno preso mentre cercava di fuggire in Francia. Ma è stato inutile.
Nei giorni scorsi erano stati arrestati anche gli altri tre componenti del gruppo considerato responsabile degli stupri di Rimini.
Si tratta di tre minorenni: due fratelli marocchini di 15 e 17 anni, che si erano costituiti, e un nigeriano di 16 anni. Sul più piccolo emergono dettagli inquietanti. Un’amica ha raccontato che «ci faceva paura, parlava solo di uccidere e violentare»
I quattro erano stati riconosciuti da una delle vittime, la trans di origini peruviane violentata e picchiata sulla Statale 16 Adriatica. Dopo che, presso il Bagno 130 di Miramare, i quattro avevano stuprato a turno una turista polacca dopo aver picchiato e immobilizzato l’amico.
Stupro Rimini: chi è Guerlin Butungu
Guerlin Butungu, considerato a capo del branco degli stupri di Rimini, è un rifugiato congolese. Arrivato in Italia nel 2015 come richiedente asilo per motivi umanitari, è stato affidato a una cooperativa di Cagli, in provincia di Pesaro-Urbino.
Gli inquirenti sono andati a cercarlo proprio a Cagli, ma non l’hanno trovato. Grazie alle tracce fornite dal cellulare, sono riusciti a rintracciarlo alla stazione di Rimini. Era salito su un treno a Pesaro diretto a Milano, anche se il suo obiettivo era probabilmente scappare in Francia.
Il congolese, armato di coltello, all’inizio ha negato tutto. Ma gli inquirenti, forti anche della testimonianza dei due fratelli marocchini che avevano raccontato che il capo era lui («Ci ordinava lui cosa fare quella sera»), non gli hanno creduto.
Il gruppo da mesi si sarebbe reso responsabile di attività criminali come furti, spaccio, violenza. Fino allo stupro di Rimini ad agosto.
Butungu ammanettato da due donne
A mettere le manette ai polsi del congolese a capo del branco di Rimini sono state due donne, come racconta il questore Maurizio Improta: «L’arresto di questa mattina è stato una doppia soddisfazione perché a mettere le manette al quarto uomo sono state due donne. Un gesto simbolico che ha reso giustizia alle vittime delle violenze».
Un gesto simbolico, che però non riuscirà a cancellare l’incubo vissuto dalla trans peruviana e dalla turista polacca.
Il 15enne «ci faceva paura, parlava solo di uccidere e violentare».
Intanto emergono testimonianze inquietanti di un’amica del 15enne del branco. Il più piccolo ma, stando ai loro racconti, molto pericoloso.
La compagnia di amici del 15enne è formata da una trentina di ragazzini, molti dei quali italiani di seconda generazione, tra cui figli di immigrati marocchini.
Cosa disse il giovanissimo accusato dello stupro di Rimini? «Una sera di agosto disse una cosa che ci lasciò tutti di stucco. Aveva puntato una mia amica, Laura, che gli piaceva molto. Disse: adesso la faccio bere e poi la violento», racconta una ragazzina appartenente alla comitiva.
La reazione delle amiche? «Ci sono state reazioni diverse. Qualcuno è scoppiato a ridere, un altro gli ha detto: ma sei scemo. Molti sono rimasti male. Io e le mie amiche del cuore, ad esempio. Laura si è spaventata moltissimo, ed è rimasta con noi tre tutta la sera, appiccicata a noi».
Il 15enne «ci faceva paura, certo, per come si comportava. Uno psicopatico. Parlava solo di uccidere e violentare. Era anche noioso, in questo. Ma non ci ha mai toccate, e noi comunque facevamo attenzione. Stavamo sempre insieme, noi tre».
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