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“È un po’ un playboy, ma non è cattivo”. Così l’ex ragazza di Mario Seferovic, alias Alessio il Sinto, lo descrive in un’intervista al Messaggero. La giovane, italiana, ha avuto con lui un figlio quando aveva solo 16 anni, senza che lui lo riconoscesse, e fatica a credere che sia lui il responsabile del doppio stupro avvenuto ai danni di due 14enni a Roma lo scorso 10 maggio. “Cado dalle nuvole, lui non ha mai avuto un carattere aggressivo e non mi ha mai dato segni di essere un violento”, insiste la giovane che lo difende anche per il bene del figlio. Pur non avendolo mai visto, non vuole che il piccolo cresca con l’idea di avere un padre violento e che non venga etichettato per questo.
“L’ultima volta l’ho visto qualche mese fa, prima che succedesse tutto questo. Lui mi cercava perché abbiamo situazioni che ancora oggi ci tengono vicino ma non l’ho più visto. Non ha riconosciuto e non vede mio figlio, che ora porta il mio cognome ma non perché Mario sia un mostro, bensì perché non voglio che sia giudicato, mio figlio non deve avere marchi”, spiega la giovane.
I due si erano conosciuti appena adolescenti quando Seferovic viveva nel campo nomadi di via di Salone, alla periferia Est della capitale, tramite un amico comune. “Abbiamo avuto una storia particolare, per motivi personali non sarei mai tornata con lui ma gli voglio ancora bene”, dice la ragazza che lo descrive come uno “di poche parole”, che “cambiava spesso frequentazioni e aveva una percezione distorta a livello sentimentale, ma con me si è sempre comportato bene. Sa di piacere alle ragazze, ha sempre avuto un certo fascino su di loro”.
Che abbia precedenti penali contro il patrimonio dice che non la sorprende anche per via dell’ambiente da cui proviene, ma che stenta a credere che sia un violento. “Non so quanto ci sia di vero nelle accuse di stupro, sarà la giustizia a chiarirlo. Le persone possono impazzire e cambiare, credo che in questa storia ci sia un fondo di verità. Con me non era mai stato violento o aggressivo, ma se ha sbagliato è giusto che paghi”, conclude.
Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i due rom di origine bosniaca, domiciliati in un campo nomadi della Capitale, di 21 e 20 anni accusati di aver violentato due 14enni a Roma lo scorso maggio. I due rimangono in carcere: per loro le accuse sono violenza sessuale di gruppo continuata e sequestro di persona continuato in concorso aggravato dalla minore età delle vittime. Secondo la ricostruzione della Procura, solo il 21enne, Mario Seferovic, avrebbe abusato delle due ragazzine, conosciute in chat, mentre l’amico, Maikon Halilovi, avrebbe fatto il palo e coperto la violenza sessuale. Le giovani avevano deciso di incontrare dal vivo il 21enne, con cui avevano avuto dei contatti tramite Facebook: in quell’occasione sarebbe avvenuta la violenza. A portare i Carabinieri sulle tracce dei due bosniaci era stato il padre di una delle vittime che aveva portato la foto, presa dai social, agli uomini dell’Arma.
Entrambi i giovani, che non hanno parlato col gip dal carcere di Regina Coeli, si sono dichiarati innocenti, a partire da Mario Seferovic che, sui sociali, si faceva chiamare Alessio Il Sinto. “Il mio assistito si professa innocente e sostiene di non aver stuprato nessuno”, ha dichiarato il suo difensore, l’avvocato Amalia Capalbo. “Faremo ricorso al Riesame e in quella sede confidiamo di poter chiarire e far cadere le accuse”. Anche il 20enne ha detto di non aver nulla a che fare con lo stupro. “Non ero lì, sono innocente”, ha detto Maikon Halilovic al suo difensore, l’avvocato Emanuele Fierimonte.
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Secondo la ricostruzione degli inquirenti, una delle due ragazze avrebbe conosciuto Seferovic in chat su Facebook e avrebbe accettato di incontrarlo di persona il 10 maggio scorso, portando con sé l’amica: il giovane le aveva detto che avrebbe portato un amico per quello che sembrava un appuntamento a quattro. Una volta di persona, invece il 21enne le avrebbe minacciate di morte e le avrebbe costrette a seguirlo in un’area boschiva in zona Collatina: lì le avrebbe ammanettate e violentate, mentre l’amico faceva il palo, impedendo loro di fuggire. Il tutto sarebbe durato un’ora.
A distanza di un mese dalla violenza, una delle vittime ha raccontato tutto ai genitori che si sono rivolti ai Carabinieri della Stazione di Roma Tor Sapienza, facendo partire le indagini. I primi riscontri hanno confermato la versione delle due giovani. “Sono stato io a portare le fotografie di quel ragazzo ai carabinieri, le ho trovate su Facebook. Gli ho dato anche il telefono e qualche giorno dopo pure la foto del complice. È stata mia figlia a recuperarla”, ha spiegato il padre di una vittima.
Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip ha sottolineato che “le modalità con cui le violenze sono state ideate e portate a termine sono sintomatiche di freddezza e determinazione unite a un’assoluta mancanza di scrupoli e a non comune ferocia verso le vittime”, col rischio “che possa trattarsi di casi non isolati ma destinati a ripetersi in coerenza con una personalità incline alla sopraffazione e al brutale soddisfacimento di istinti di violenza”.
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