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Sette celebrities, altrettante guide alpine, un unico obiettivo: raggiungere la vetta più alta d’Europa. Questo è Monte Bianco, il primo adventure game tutto italiano in onda da lunedì 9 novembre in prima serata su Rai Due. Ad accompagnare le sette squadre, o meglio, le sette cordate ciascuna delle quali costituita da una celebrity e dalla sua guida, c’è Caterina Balivo affiancata da Simone Moro, noto alpinista italiano incaricato di spiegare ai concorrenti (e, indirettamente, agli spettatori) gli aspetti più tecnici delle prove da affrontare.
Tre sono le sfide che le cordate devono fronteggiare nel corso della puntata: la prova vertigine, durante la quale le squadre possono acquisire premi o – al contrario – penalità, la prova classifica con cui si stabiliscono le due cordate a rischio eliminazione e il duello verticale che determina quale cordata dovrà lasciare il programma.
Accanto a chi riesce ad affrontare le prove con coraggio e disinvoltura c’è chi, talvolta, si fa prendere dal panico e teme di non farcela. Le telecamerine poste sui caschetti dei concorrenti ci permettono di vedere da vicino i loro volti durante le prove e di percepire tangibilmente le loro emozioni.
Alle sfide che i concorrenti devono affrontare si intrecciano poi le vicende umane che si sostanziano soprattutto al campo base: simpatie che nascono, piccoli screzi, difficoltà e qualche polemica senza però mai esagerare né cadere nel trash.
Niente pubblico, niente opinionisti, niente studio, niente televoto: seguendo la scia di Pechino Express, Monte Bianco abbandona tali elementi tipicamente presenti nei reality – e che spesso condiscono gli adventure game – per concentrarsi sull’avventura e sullo scenario in cui essa ha luogo: la montagna. Anche la conduzione è piuttosto misurata: la Balivo, insieme a Simone Moro, dà istruzioni ai concorrenti scandendo così il ritmo delle prove, commenta le sfide in corso, annuncia i vincitori ma sempre stando un passo indietro, facendo in modo che i veri protagonisti siano sempre i concorrenti e le loro imprese.
E poi c’è la musica che in Monte Bianco diventa una componente narrativa fondamentale: crea pathos, rende tangibile la tensione provata dai concorrenti e consente di colmare il silenzio dato dal fatto che durante le prove la possibilità di parlare è piuttosto limitata.
Nel complesso l’esperimento di Monte Bianco risulta discretamente riuscito; le musiche, il montaggio ben congegnato e le informazioni che compaiono in sovraimpressione per raccontare chicche e curiosità su luoghi e tecniche, consentono di fuggire il rischio della noia.
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