In fuga da oltre 20 anni, le autorità del Sudafrica lo hanno arrestato ieri. Dovrà rispondere davanti al tribunale penale internazionale del genocidio di oltre duemila persone di etnia Tutsi, massacrate in una chiesa del Ruanda nel 1994.
L’uomo, che oggi ha 62 anni, sarà processato in Tanzania. Rischia l’ergastolo.
Era uno dei maggiori ricercati al mondo e ora la sua fuga, durata oltre 20 anni, è giunta al termine. Fulgence Kayishema, un ex capo di polizia ruandese, è stato arrestato in Sudafrica. Sospettato di genocidio, è stato accusato di aver avuto un ruolo chiave nell’assassinio di oltre duemila persone in una chiesa nell’aprile del 1994.
L’arresto è avvenuto ieri pomeriggio a Paarl, una località a 60 chilometri da Città del Capo, tuttavia l’operazione è stata resa nota dalle autorità solo oggi. La prima testata a diffondere la notizia è stata la CNN. Il latitante ha passato gli ultimi due decenni sottraendosi alla giustizia. Al momento del ritrovamento viveva sotto falso nome. La polizia sudafricana lo ha poi preso in custodia in collaborazione con i membri della squadra di ricerca del tribunale penale internazionale per il Ruanda che ha sede nella città di Arusha, in Tanzania.
“Fulgence Kayishema è stato un fuggitivo per oltre 20 anni. Il suo arresto garantisce che finalmente affronterà la giustizia per le ipotesi di reato di cui è accusato”, è stato il commento del procuratore capo del tribunale Serge Brammertz. “Il genocidio è il crimine più grave conosciuto dal genere umano. La comunità internazionale si è impegnata per assicurare che gli autori siano perseguiti e puniti. Questo arresto è una dimostrazione tangibile che l’impegno non svanisce e che la giustizia sarà fatta, non importa quanto tempo ci vorrà”, ha aggiunto ringraziando il Sudafrica per la cooperazione e il suo presidente Ramaphosa.
L’uomo arrestato ha oggi 62 anni, è stato uno dei quattro sospettati ancora in fuga incriminati dal tribunale, su un totale di 96 accusati. Era considerato l’ultimo dei principali indiziati in vita ancora a piede libero. All’epoca dei fatti il tribunale internazionale decise di incriminare solamente i sospettati che avevano avuto un ruolo centrale nella vicenda. In realtà però ci sono ancora oltre mille persone ricercate dal Ruanda a vario titolo per il genocidio, in cui oltre mezzo milione di persone furono massacrate in 100 giorni.
Nel 1994 Kayishema era un ispettore di polizia di etnia Hutu del Ruanda. L’accusa è che ha contribuito in maniera significativa a confinare le vittime di etnia Tutsi in un’area dove si trovava una chiesa, poi presa d’assalto dalle milizie e dalla polizia stessa. I pochi sopravvissuti rifugiatisi lì dentro furono poi sterminati, quando la chiesa dopo l’assalto fu rasa al suolo dai carrarmati.
Tra coloro che sono già stati condannati per il massacro alla chiesa c’è stato anche Athanase Seromba, indicato dal tribunale come l’ideatore degli omicidi insieme a Kayishema. In passato l’uomo si era rifugiato anche in Italia, salvo poi arrendersi nel 2002. La corte penale lo condannò nel 2006 a scontare 15 anni di detenzione in carcere. Dopodiché in appello la pena aumentò fino all’ergastolo nel 2008. Un altro fuggitivo sospettato di genocidio, invece, riuscì a nascondersi fino alla sua morte. Il team di investigatori circa un anno fa ha ritrovato i resti di Protais Mpiranya, che era stato seppellito in Zimbabwe sotto falso nome.
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