Ha fatto molto discutere nelle passate settimane la proposta del Ministro Fioramonti di inserire in manovra una nuova tassa sulle merendine, definita sugar tax, al fine di recuperare risorse da destinare all’istruzione e, allo stesso tempo, favorire un’alimentazione più sana, proposta prima accolta e poi da più parti all’interno della maggioranza di governo smentita. La proposta di Fioramonti era stata sin da subito duramente attaccata dalle opposizioni – Lega in primis – che al contrario vi vedevano solamente la volontà di fare cassa, con il neo Ministro dell’Istruzione schernito da avversari politici e media – c’è anche chi lo ha definito il “nuovo Toninelli”.
Alla fine comunque ad averla spuntata è stato proprio il Ministro del M5s, la cui proposta di introdurre una sugar tax è stata accolta dal Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ed inserita nella manovra finanziaria. Ad essere colpite dalla sugar tax, di cui ancora non è stata chiarita l’entità, saranno però solo le bevande altamente zuccherate: dalla nuova tassa escluse dunque le merendine. Nel frattempo il neo Ministro dell’Istruzione esulta ed assicura che i proventi della sugar tax saranno destinati a scuola, università e ricerca. Non tutti i partiti di governo sono però contenti della nuova misura, che non piace a Italia Viva: come dichiarato da fonti interne al partito, la nuova formazione di Matteo Renzi si prepara a presentare una proposta per eliminare la nuova tassa sulle bevande zuccherate.
Sugar tax: esiste in altri paesi?
Mentre in Italia il destino della sugar tax è dunque ancora incerto, in oltre 50 paesi l’imposta sulle bibite zuccherate è già realtà. È questo ad esempio il caso di Francia e Gran Bretagna, dove dal 2018 la sugar tax è stata adottata non solo allo scopo di scoraggiare l’acquisto delle bevande zuccherate, ma anche allo scopo di incentivare le aziende produttrici a ridurre le quantità di zucchero presenti nei propri prodotti: in entrambi i paesi è infatti prevista una tassazione crescente all’aumentare della quantità di zucchero nelle bevande. Ed in effetti sia in Francia che in Gran Bretagna l’effetto principale è stato proprio quello di spingere le imprese del settore a diminuire il quantitativo di zuccheri delle bibite, che in diversi casi risulta addirittura dimezzato.
In Ungheria invece ad essere tassate non sono solo le bevande zuccherate, ma tutto ciò che comunemente viene definito cibo spazzatura, dunque bevande ed alimenti ad alto contenuto di zucchero e sale come le bibite appunto, ma anche snack salati, caramelle, dolciumi e condimenti. L’imposta è del 4% ed è stata introdotta dal governo ungherese nel 2011.
Anche qui diverse le aziende produttrici che hanno deciso di riformulare le proprie ricette diminuendo i quantitativi di zucchero e sale, con una vasta fetta della popolazione ungherese che ha rivisto le proprie abitudini alimentari.
In Norvegia la sugar tax esiste addirittura dal 1922 e nel 2018 il governo norvegese ha deciso di aumentarla. Anche qui ad essere tassati sono sia gli snack che le bibite zuccherate. Se da una parte l’aumento dell’imposta ha favorito una diminuzione del consumo di bevande ad elevato quantitativo di zucchero, è anche vero che numerosi sono i cittadini norvegesi che vanno ad acquistare questo genere di prodotti nella vicina Svezia, dove la sugar tax non c’è.
Altri paesi in cui la sugar tax è presente sono ad esempio l’Irlanda, l’Estonia, il Portogallo, il Belgio, il Sudafrica, le Filippine e gli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, l’imposta sulle bibite zuccherate è presente anche in diverse città americane.
In diversi casi dunque la sugar tax è riuscita ad indirizzare i cittadini verso abitudini alimentari più sane. L’introduzione di un’imposta non dovrebbe essere però il principale strumento per combattere il consumo delle bevande zuccherate, ma bisognerebbe puntare in primis a una migliore educazione alimentare dei consumatori.
In ogni caso, il paradosso della sugar tax che il governo – ad esclusione di Italia Viva – vorrebbe introdurre per favorire un’alimentazione più sana è che se dovesse raggiungere il suo scopo non porterebbe quelle risorse che il Ministro Fioramonti auspica di avere a disposizione per la scuola e la ricerca.