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Suicidio Marco Prato, il testamento in undici punti: ‘Fate festa, donate i miei organi e mettetemi lo smalto rosso’

Marco Prato aveva lasciato il proprio testamento, scritto di suo pugno, molto prima di suicidarsi in cella. Il 31enne romano, accusato dell’omicidio di Luca Varani, ucciso con Manuel Foffo nel marzo 2016, aveva riempito foglietti e biglietti con le sue ultime volontà nell’hotel dove si rifugiò dopo il delitto. Come riporta Il Tempo, che ha pubblicato la lettera integrale, Prato aveva cancellato e scarabocchiato, riscrivendo più volte il suo testamento, dividendolo per punti, come se già allora avesse pensato di togliersi la vita. “Fate festa, donate i miei organi e mettetemi lo smalto rosso“, scriveva il giovane.

Marco Prato si era chiuso nella stanza 65 dell’hotel San Giusto a Piazza Bologna la notte tra il 5 e il 6 marzo 2016, subito dopo l’omicidio di Varani, morto dopo un festino a base di droghe e alcol.

Perdonatemi, non riesco. Sono stanco, una persona orribile. Ricordate solo il bello di me. Vi amo“, aveva scritto quella notte in una lettera indirizzata ai suoi genitori e agli amici più cari. Sui tre fogli scritti a mano, ritrovati poi dai Carabinieri, aveva lasciato le indicazioni per il suo funerale, suddividendoli per punti: “Fate festa, anche se vorrei cerimonia laica, fiori, canzoni di Dalida, bei ricordi: una festa! Dovete divertirvi!“, chiedeva al primo punto.

Al secondo punto Prato dava indicazioni per la sua sepoltura. “Chiama Private & Friends, il centro di capelli a piazza Mazzini per rigenerarmi la chioma prima di cremarmi. Mettetemi la cravatta rossa, donate i miei organi, lasciatemi lo smalto rosso alle mani. Mi sono sempre divertito di più ad essere una donna!“.

Il terzo punto è una richiesta precisa. “Organizzate sempre, una volta alla settimana o al mese, una cena o un pranzo con tutti i miei cari amici e amiche che ho amato tanto. Fate sempre festa, sentitevi Dalida ogni tanto. Mettete “Ciao amore ciao” quando avete finito la festa per me e ricordatevi tutti insieme i miei sorrisi più belli“.

Colpisce poi un altro punto, il sesto, in cui Prato scrive di buttare via il suo telefono e di distruggere i due computer per nascondere quello che chiama “i miei lati brutti”. “Tenete alto il mio nome e il ricordo, nonostante quel che si dica. Non indagate sui miei risvolti torbidi, non sono belli“.

Lorena Cacace

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