Ieri sono andata a vedere Sulla mia pelle di Alessandro Cremonini, il film che racconta gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, geometra romano, morto il 22 ottobre del 2009 all’Ospedale Sandro Pertini di Roma in seguito alle percosse subite dopo il suo arresto per detenzione e spaccio di stupefacenti. Il calvario di Stefano, dal suo arresto alla morte, è interpretato nel film da un immenso Alessandro Borghi. Tutti noi abbiamo il dovere morale di vedere questo film, e ve ne spiego il motivo.
Sulla mia pelle è un film scomodo, che parla in modo velato del sopruso della Giustizia e delle Istituzioni, o meglio di alcuni agenti di polizia penitenziaria, carabinieri e medici nei confronti di un ragazzo arrestato per droga. Presentato anche nella sezione ‘Orizzonti’ dell’ultimo Festival del Cinema di Venezia, è un mix di emozioni contrastanti. Rabbia, paura, incuria, indifferenza, solitudine. E racconta la morte di un ragazzo, ma più di tutto, delle Istituzioni e della pietà umana.
Stefano è un ragazzo difficile, dipendente dalla droga e con un’esistenza fatta di alti e bassi. Uno fra tanti, verrebbe da pensare. Che però viene malmenato in carcere a tal punto da non riuscire più a urinare, da non respirare più bene e da non riuscire più ad alzarsi dal letto. Il tutto nell’indifferenza più totale, nella noncuranza generale e nell’abbandono. Come se la detenzione di stupefacenti, per quanto grave, possa essere un motivo valido per ritrovarsi a morire di stenti e solo, lontano dagli affetti ma soprattutto dalla pietà umana.
“Quando smetterete di farvi male sulle scale?” chiede ironicamente un secondino in carcere a Stefano Cucchi, “Quannno e scale smetteranno de menarce!” risponde lui in un romano strascicato. In questo scambio di battute emerge la triste verità celata in tutto il film. Dal protagonista, dai suoi aguzzini e da tutti i testimoni scomodi. Che non hanno voluto vedere o che hanno girato la testa dall’altra parte e che non hanno chiesto, indagato, domandato, capito. Che non hanno voluto approfondire la verità su quanto era successo, ovvero che alcuni agenti di polizia penitenziaria e alcuni carabinieri hanno massacrato di botte il trentunenne romano arrestato per droga.
E quello che colpisce in questo film non sono tanto le botte, che non vengono neanche ricostruite, ma tutto il resto. Quello che smuove la coscienza è l’angoscia, la trascuratezza, l’indifferenza e il lento spegnersi di Stefano davanti agli occhi degli spettatori nell’impotenza generale e nell’impossibilità di sperare in un finale migliore che purtroppo non arriverà mai. La solitudine di Stefano e quella dei suoi familiari che, per una serie di cavilli burocratici, non riescono a vedere il ragazzo dopo la prima udienza, colpisce forse più forte di quei calci che gli hanno rotto due vertebre. La morte di Stefano è la morte dello Stato, della Giustizia per come la interpretano la maggior parte di noi, e della Fiducia nel prossimo, nell’altro.
Sulla mia pelle è un film che potete trovare su Netflix e in alcune sale cinematografiche, che merita di essere visto e che commuove e fa stare male ma è un film necessario. Difficile, angosciante, scomodo. Andatelo a vedere, fatelo per la famiglia Cucchi, per Stefano, per tutti coloro che sono morti in carcere senza un perché. Fatelo per voi stessi, per i vostri figli e per lo Stato. Perché non ci meritiamo di vivere in uno Stato così, non ci dobbiamo credere nelle Istituzioni che non ci tutelano e abbiamo tutti bisogno che la verità emerga e che giustizia venga fatta. E che queste cose non avvengano più nel nostro Paese.
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