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Tagli ai pentiti: così vince la camorra

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I collaboratori di giustizia, i cosiddetti pentiti, sono un’arma fondamentale nella lotta alla mafia e alle altre forme di criminalità organizzata, in quanto consentono agli investigatori di avere uno sguardo all’interno dell’associazione criminale.

“I collaboratori – si legge sul sito della Camera dei Deputati – sottoscrivono un “contratto” con lo Stato basato sulla fornitura di informazioni provenienti dall’interno dell’organizzazione criminale in cambio di benefici processuali, penali e penitenziari, della protezione e del sostegno economico per sé e per i propri famigliari”.

Le gravi difficoltà economiche che sta affrontando il nostro Paese e la necessità di ridurre la spesa della macchina statale hanno, però, colpito anche la gestione dei collaboratori, che hanno visto peggiorare la loro situazione: la spesa complessiva per l’assistenza economica dei pentiti nel 2013 è stata di poco più di 76 milioni, nel 2012 era stata di ben oltre 82 milioni (vedi tabelle sottostanti).

Inoltre sempre la Camera dei Deputati riconosce che: “Un mafioso che inizia la sua collaborazione con lo Stato viola una regola fondamentale delle organizzazioni mafiose: la consegna del silenzio, l’omertà, che è garanzia del mantenimento della segretezza, di esercizio del potere e di assicurazione dell’impunità. È per tale motivo che alcuni collaboratori di giustizia, considerati “infami” nel mondo mafioso, sono stati colpiti dalle cosiddette “vendette trasversali”, vale a dire che i loro cari (figli e parenti) sono stati vittime di feroci agguati”. Tuttavia la necessità di ridurre le spese mette a rischio anche la messa in sicurezza dei collaboratori e delle relative famiglie.

Se, però, lo Stato e le istituzioni da esso preposte alla gestione dei collaboratori di giustizia non mantiene gli accordi presi nel “contratto” con il pentito (Scopri cosa prevede il programma di protezione), viene a mancare la convenienza alla collaborazione. Il rischio è che si riduca il numero di criminali disposti a collaborare dopo l’arresto e quindi venga a mancare l’apporto investigativo che proprio i collaboratori garantiscono, con gravi conseguenze nella lotta alla criminalità organizzata. (A tal proposito leggi l’opinione di Giovanni Falcone sui pentiti di mafia)

Il numero di collaboratori
Nel secondo semestre del 2013, secondo la relazione al Parlamento sulle speciali misure di protezione, sulla loro efficacia e sulle modalità generali di applicazione del Servizio Centrale di Protezione, le persone titolari di speciali misure di protezione sono 1224 e di questi ben 1144 provengono proprio dall’ambiente criminale. I familiari dei collaboratori sottoposti a programma sono 4350.

Le richieste di ammissione
Negli ultimi sei mesi dello scorso anno sono giunte alla Commissione Centrale, l’organo che si occupa di esaminare e accordare i programmi di protezioni richiesti dalla Procure, 62 richieste di ammissione al programma provvisorio di protezione, di cui 28 solo dalla Procura della Repubblica di Napoli, riducendosi di una unità rispetto al semestre precedente (ben più grave la situazione dei testimoni: la riduzione è stata da 8 a 1 sola richiesta).
Nel medesimo periodo del 2012 la Commissione Centrale aveva ricevuto 68 richieste di ammissione al piano provvisorio di protezione concernenti i collaboratori, di cui ben 29 dalla Procura della Repubblica di Napoli, e quindi 4 in più rispetto al semestre precedente (gennaio-luglio 2012), quando se ne erano registrate 64.

L’ammissione al programma provvisorio
Nel secondo semestre del 2013 la Commissione ha ammesso al programma provvisorio 75 collaboratori di giustizia, con un incremento di 20 unità rispetto al semestre precedente. Negli ultimi sei mesi dell’anno precedente ne aveva ammessi 57.

Trasformazione da provvisorio a definitivo
Il numero delle ammissioni al programma definitivo di protezione si è, invece, incrementato di 5 unità, passando da 19 del primo semestre del 2013 a 24 del secondo. Nel secondo semestre del 2012, però, le ammissioni al programma definitivo erano state ben 50.

L’assistenza
Per i protetti la normativa vigente prevede, oltre alle misure volte alla salvaguardia dell’incolumità personale, la concessione di misure di natura economica a carico dello Stato che comprendono il pagamento delle spese per l’alloggio, i trasferimenti in sicurezza, le prestazioni sanitarie nei casi in cui non sia possibile avvalersi delle strutture del Servizio Sanitario Nazionale, l’assistenza legale nei procedimenti in cui gli interessati rendono testimonianza e l’assegno di mantenimento qualora i soggetti siano impossibilitati a svolgere attività lavorativa, il cui importo viene stabilito dalla Commissione Centrale.

L’adempimento di questi oneri ha comportato, nel secondo semestre del 2013, per il Servizio Centrale di Protezione una spesa di 45.662.376,15 euro. Ma il Servizio centrale di protezione avverte: “Tale cifra, nettamente superiore alla spesa complessiva rilevata nel primo semestre del 2013 (30.399.964,01 euro), è il risultato di una ritardata disponibilità di fondi sul capitolo di bilancio destinato all’attuazione delle misure tutorie, in ragione della quale sono stati erogati, nel secondo semestre, oneri già frutto di impegno assunto durante il semestre precedente”.

Spese 2° semestre 2013
EURO PERCENTUALE
Contributi 13.792.816,76 30,21
Locazioni 18.565.112,61 40,66
Varie 5.903.964,03 12,93
Assistenza legale 2.943.013,93 6,45
Alberghi 2.850.555.00 6,24
Spese di giustizia 471.276,90 1,03
Trasferimenti 480.049,51 1,05
Assistenza sanitaria 655.587,42 1,44
TOTALE 45.662.376,16

Nello stesso semestre dell’anno precedente la spesa era invece stata di 50.292.764,26 euro complessivi, a fronte di una spesa nel semestre precedente dello stesso anno di 32.332.523,58 euro.

Spese 2° semestre 2013
EURO PERCENTUALE
Contributi 13.191.316,64 26,23
Locazioni 15.960.862,26 31,74
Varie 14.087.346,45 28,01
Assistenza legale 3.681.762,28 7,32
Alberghi 2.211.322,23 4,40
Spese di giustizia 519.584,80 1,03
Trasferimenti 246.710,67 0,49
Assistenza sanitaria 393.858,93 0.78
TOTALE 50.292.764,26

Pertanto la spesa complessiva per l’assistenza economica nel 2013 è stata di 76.062.340,16, mentre nel 2012 era stata di 82.625.287,84. Volendo dividere la spesa complessiva per il numero totale della persone sottoposte a programma di protezione (collaboratori e testimoni di giustizia + i rispettivi familiari), nel 2013 sono stati spesi pro capite 13.637 euro, mentre nel 2012 erano stati spesi 15.264 euro pro capite, con una riduzione di budget ammontante a 1.627 euro annui.

Il reinserimento
Poiché il programma di protezione ha una durata limitata nel tempo, le misure assistenziali si esauriscono con la scadenza delle misure tutorie e quindi è necessario creare le condizioni affinché i soggetti tutelati possano condurre una vita sociale e soprattutto lavorativa in piena autonomia dallo Stato.

Nel secondo semestre del 2013, però, hanno trovato un’occupazione soltanto 15 collaboratori e 30 loro familiari, in quanto non esistono leggi che prevedano canali preferenziali per l’avviamento al lavoro delle persone sottoposte a misure di protezione e l’utilizzo di documenti di copertura crea problemi per l’accesso al lavoro, quali – ad esempio – l’impossibilità di aprire un conto corrente per l’accredito dello stipendio e la comunicazione del domicilio per le visite mediche fiscali.

Se per i testimoni di giustizia il D.M. 101/2013 ha previsto l’assunzione diretta nella Pubblica Amministrazione, per i collaboratori l’unico attuale strumento di reinserimento sociale – scrive il Servizio Centrale – è dato dalla capitalizzazione delle misure assistenziali. […] I beneficiari, presentando un concreto e documentato progetto lavorativo, previo parere favorevole dell’Autorità Giudiziaria proponente, possono in tal modo porre le basi per il raggiungimento di un’autonomia economica”. Tuttavia è lo stesso Sistema Centrale di Protezione a ribadire che: “Nel secondo semestre del 2013, la Commissione Centrale non ha disposto alcun provvedimento di capitalizzazione”.

La capitalizzazione
La Commissione Centrale non ha, cioè, deliberato l’erogazione di nessun contributo economico unico e definitivo, finalizzato a favorire il reinserimento sociale del pentito e del suo nucleo familiare con contestuale cessazione delle misure assistenziali, per nessun soggetto tutelato.

Il protetto ha, infatti, la possibilità di richiedere il pagamento del contributo economico previsto per 5 anni in un’unica soluzione, presentando un progetto di vita che ovviamente deve essere valutato e approvato dalla Commissione. Se la capitalizzazione viene approvata, il collaboratore perde ovviamente il diritto alle altre misure assistenziali (non quelle volte a tutelarne l’incolumità) in quanto è stato messo in condizione di provvedervi da solo.

“La Commissione – spiega il Sistema Centrale – promuove il reinserimento sociale e lavorativo dei testimoni e dei collaboratori di giustizia, ma è evidente che gli obiettivi necessitano di adeguate risorse economiche per far fronte ai costi connessi alle capitalizzazioni, essendo quelle sinora disponibili impegnate per le misure ordinarie di assistenza”.

“È auspicabile – continua – un incremento complessivo delle risorse finanziarie al fine di assicurare il buon funzionamento e l’equilibrio del sistema di protezione e, con esso, le favorevoli ricadute in termini di incoraggiamento alla collaborazione con l’Autorità Giudiziaria”.

Il Sistema Centrale di Protezione conclude: “Al fine di mantenere in equilibrio gli oneri complessivi costituisce obiettivo costante quello di assicurare un regolare flusso di “uscite” dal sistema di protezione, per evitare che con i nuovi ingressi si determini un aumento sproporzionato delle spese di gestione del sistema”.

Revoche e modifiche al programma di protezione
Al contrario sembra che siano stati scelti altri metodi, rispetto al reinserimento sociale del pentito, per garantire il necessario equilibrio tra l’avvio dei nuovi programmi di protezione e la conclusione dei vecchi. Nell’ultimo semestre del 2013, infatti, su 52 programmi di protezione sottoposti a verifica ne sono stati prorogati solo 11, 28 non sono stati prorogati con ultrattività e 8 sono stati revocati per violazione al codice comportamentale. Mentre nel primo semestre su 125 programmi sottoposti a verifica, ben 114 sono stati prorogati, 2 non prorogati, 5 revocati per violazioni al codice comportamentale.
Confrontando, inoltre, i dati con il secondo semestre dell’anno precedente emerge che su 63 programmi sottoposti a verifica, 55 sono stati prorogati, 2 non sono stati prorogati e solo 1 è stato revocato per violazioni al codice comportamentale.

L’allarme del Servizio Centrale di Protezione
Il Servizio Centrale di Protezione, dal canto suo, ha cercato di rivedere le fonti di spesa al fine di contenere i costi di gestione dei programmi di protezione, ad esempio rivedendo le modalità di reperimento degli immobili da destinare ad alloggi per la popolazione protetta o rinegoziando i contratti relativi al noleggio delle autovetture. Tuttavia le “criticità indotte dalla mancanza di disponibilità di congrui stanziamenti, protrattasi fin dall’esercizio finanziario del 2009 e durante tutto l’esercizio finanziario del 2013, non ha consentito al Servizio Centrale di Protezione di assolvere con regolarità agli impegni di spesa assunti con soggetti terzi”.

Lo stesso servizio centrale elenca:

“La mancata regolare erogazione dei canoni dovuti ai locatari di immobili ed il mancato pagamento di immobili presso strutture ricettive ha determinato serie difficoltà nei trasferimenti e nella allocazioni dei nuclei familiari protetti”;

“Il considerevole ritardo nel pagamento dei decreti di liquidazione emessi in favore degli avvocati che hanno prestato la loro assistenza professionale in favore di collaboratori e testimoni di giustizia, con conseguente effetto negativo sulla disponibilità ad assumere gli incarichi da parte dell’intera categoria”;

“Diversi locatari di immobili hanno depositato citazioni volte ad ottenere la declaratoria di sfratto per morosità e la contestuale emissione del relativo decreto ingiuntivo, con difficoltà patite dai nuclei familiari protetti ed oneri a carico di quest’amministrazione”.

Le responsabilità
Oltre ad un continuo e sostanziale taglio del budget (che è indubbiamente l’aspetto più grave) – stabilito ovviamente dalla politica in virtù delle necessità di ridurre la spesa pubblica – a disposizione degli organi preposti alla gestione dei pentiti e al loro reinserimento sociale, bisogna rintracciare le colpe di questa situazione anche in due tendenze andate a radicarsi negli anni.

Da un lato le Procure hanno tendenzialmente accettato il pentimento di soggetti la cui collaborazione non era sempre realmente utile alla lotta alla criminalità organizzata. Se, infatti, è impossibile stabilire a priori quali saranno le rivelazioni del collaboratore, è pur vero che difficilmente un soggetto di scarsa rilevanza nell’organizzazione criminale potrà aggiungere informazioni importanti rispetto ai capi del clan che hanno già collaborato. Un semplice affiliato avrà meno informazioni a disposizione di un boss e una volta che si è raggiunto il numero di pentiti necessario per verificare la dichiarazioni, risulta irrilevante accoglierne altri.

Dall’altro lato, la gestione stessa dei collaboratori ha spesso visto sprechi incredibili che non hanno fatto altre che peggiorare la situazione, come ad esempio lunghi soggiorni in hotel invece che in abitazioni.

La concorrenza della camorra

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A fronte di questa situazione, bisogna tener presente che anche i clan hanno loro strategie per conservare la fedeltà e soprattutto assicurare l’omertà dei loro affiliati. È noto, infatti, che le organizzazioni criminali corrispondo una sorta di stipendio alle famiglie dei detenuti. Secondo quanto dichiarato dal Vicequestore Alessandro Tocco, Capo della Squadra Mobile di Caserta, durante la puntata di Porta a Porta andata in onda lunedì 17 marzo 2013, tale contributo si aggirerebbe tra i 2000 e i 2500 euro a seconda dell’importanza della famiglia. Tale cifra risulta, comunque, nettamente superiore a quella che può garantire il Servizio Centrale di Protezione (in media 1.136 euro) ai pentiti. Lo Stato risulta quindi decisamente non concorrenziale con le organizzazioni criminali e il rischio è che così vinca la camorra.

Fabrizio Capecelatro

Fabrizio Capecelatro è stato un redattore interno di Nanopress fino al 2018. Si è occupato di politica e cronaca, con particolare riguardo a tematiche incentrate su criminalità organizzata e camorra. Su temi di attualità e di cronaca criminale ha scritto anche su Pourfemme.

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