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Continua a scatenare polemiche la questione della Tari gonfiata dai Comuni. Molti contribuenti, infatti, sono stati costretti a pagare più del dovuto, a causa di un errore dei Comuni nel calcolo della tassa sui rifiuti. In certi casi si è arrivati addirittura a un esborso doppio rispetto al dovuto. In caso di pagamento di Tari gonfiata dal Comune, i cittadini hanno però diritto al rimborso dopo il calcolo di quanto realmente dovuto. Ecco come fare il calcolo e il rimborso della Tari gonfiata.
Partiamo dal perché alcuni Comuni hanno gonfiato la Tari. Un errore dovuto alla complessità del calcolo della tassa dei rifiuti introdotta nel 2014, al posto delle precedenti tasse (Tia, Tarsu e Tares). A dover pagare questa imposta tutti i cittadini produttori di rifiuti urbani.
L’errore della Tari gonfiata nasce dalla struttura di questa tassa, basata su una quota fissa (misurata al metro quadrato), e una quota variabile (calcolata in base al numero degli occupanti).
Se una famiglia è composta da quattro persone e occupa 100 o 200 metri quadrati, in teoria la quota variabile rimane sempre la stessa, mentre la quota fissa cambia. Nella pratica, però, è successo che molti comuni hanno applicato la quota variabile più volte, sia per l’immobile principale che per le pertinenze.
Perché i Comuni hanno gonfiato la Tari?
Al centro del problema è finita quindi la quota variabile. «Quando una casa ha un garage o una cantina pertinenziale, la procedura imporrebbe di applicare una sola volta la quota variabile, ma in molti Comuni la somma viene ripetuta, come se la presenza del box moltiplicasse la capacità della famiglia di produrre rifiuti», spiega il Sole 24 Ore. In alcune città, inoltre, garage e altre pertinenze sono state tassate come utenze non domestiche, a cui è stata applicata una quota variabile aggiuntiva.
Insomma, la bolletta da pagare è risultata gonfiata per molti contribuenti. Ad esempio, famiglie di quattro persone, invece di pagare ciò che gli spettava, ovvero 391 euro all’anno, hanno dovuto sborsare 673 euro: +72%.
Tari gonfiata: come chiedere il rimborso
Come chiedere il rimborso? L’utente deve verificare che, in caso di pertinenze, la sua quota variabile corrisponda a zero euro. Anche perché i Comuni che hanno stabilito nel regolamento la non applicabilità della quota variabile alle pertinenze dell’utenza domestica sono pochi.
Deve quindi prendere l’avviso di pagamento della Tari, che comprende l’importo da pagare, le istruzioni su come farlo (codice tributo e scadenza) e il dettaglio delle somme. Ed è proprio qui che bisogna fare attenzione.
Come spiega il Sole 24 Ore, «è in questa parte che l’ente indica le unità immobiliari (con i dati catastali: foglio, particella, sub), la superficie tassata, il numero degli occupanti e la quota fissa e variabile distinta per ogni unità immobiliare. La quota variabile deve essere presente solo per l’abitazione, non anche per le eventuali pertinenze».
In caso di errore, il cittadino deve inviare al Comune e alla società che gestisce il servizio un’istanza di ricalcolo e rimborso del dovuto, con raccomandata AR.
Tari gonfiata, quando richiedere il rimborso
Il contribuente ha tempo cinque anni dal versamento della Tari scorretta, per chiedere il rimborso. Il Comune, se il ricorso presentato dal cittadino risulta legittimo, ha poi 180 giorni per effettuare il rimborso.
Se questo non viene accettato, l’utente ha sessanta giorni per presentare ricorso presso la commissione tributaria provinciale territorialmente competente.
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