L’annuncio del governo di voler abolire la tassa sulla prima casa sta già facendo discutere. Ai toni trionfalistici dell’esecutivo, i critici rispondono che in questo modo si avvantaggiano i più ricchi e che non sempre è giusto abolirla. Se la legge di stabilità venisse approvata così com’è, nonostante l’opposizione di Bruxelles, il nostro Paese diventerebbe l’unico stato europeo a non avere una tassa sugli immobili di proprietà. Un primato che dovrebbe far contenti tutti; invece qualcosa non torna. L’eliminazione della Tasi e dell’Imu darà un vantaggio maggiore ai proprietari di immobili di lusso che potranno risparmiare moltissimo ogni anno. Cerchiamo di capire cosa non funziona e quali potrebbero essere le soluzioni.
Partiamo dal dato di fatto. Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, nel presentare la legge di stabilità 2016, hanno specificato che l’abolizione della tassa sulla prima casa riguarda tutti gli immobili usati come abitazione principale, senza distinzione di “classamento catastale o di altri parametri”. Questo significa che vengono eliminate sia la Tasi che l’Imu, l’imposta cioè che grava sulle case di lusso che fanno parte delle categorie catastali A1, A8 e A9 (appartamenti di lusso, ville e castelli). I proprietari di immobili di prestigio già esultano perché il loro risparmio sarebbe notevole. Per capire di che cifre parliamo, prendiamo i calcoli della Uil servizio politiche territoriali: chi possiede un appartamento di 297 mq in classe A8 (di lusso) sull’Appa Antica a Roma risparmierebbe oltre 5mila euro all’anno.
Dal governo hanno chiarito che l’abolizione dell’Imu riguarda circa 45 mila abitazioni, pari allo 0,3 per cento delle circa 20 milioni di case degli italiani. “È vero che avvantaggia soprattutto i proprietari più ricchi, ma occorre tenere presenti le peculiarità di un paese come l’Italia, dove più di tre quarti delle famiglie possiedono un immobile”, ha ammesso il ministro Padoan.
Ecco chiarito il motivo della scelta, tutta politica, di abolire la tassa sulla prima casa per tutti. Quasi a ridosso delle amministrative (comprese Milano, Napoli e forse Roma che andranno al voto nella primavera 2016), dove le imposte comunali sulla casa sono ai massimi, si toglie un’imposta che pesa sui bilanci famigliari dei meno abbienti e che colpisce anche i più ricchi.
La tassa sulla casa diventa un’arma politica che serve per conquistare più voti possibili. Il primo a usarla fu Silvio Berlusconi quando abolì l’Ici di prodiana memoria, ma l’ex Cavaliere non arrivò a escludere gli immobili di lusso. Renzi è andato oltre: l’ha eliminata per tutti (anche per l’elettorato tradizionalmente non di sinistra) e ha promesso di restituire gli introiti fiscali ai Comuni. Se anche avesse trovato le coperture, rimarrebbe un problema di equità sociale: come è possibile che un governo di centro-sinistra avvantaggi i più ricchi?
In attesa di capire se davvero il governo riuscirà ad abolire la tassa sulla prima casa per tutti, si discute di variazioni sul tema. Una proposta potrebbe riguardare chi ha acceso un mutuo per comprare casa, facendo pagare la tassa solo a chi lo ha estinto o non lo ha proprio aperto. Sembrerebbe una cosa sensata, ma “fatta la legge, trovato l’inganno”: ai più ricchi basterebbe fare un mutuo (anche se non hanno bisogno) per essere di nuovo esclusi.
Cosa si potrebbe fare allora? Semplice: tornare alla suddivisione catastale, facendo pagare l’imposta a chi abita in immobili di lusso. Si potrebbe mantenere la tassa le ville di prestigio e i castelli, magari abbassando l’aliquota, in modo da garantire un risparmio anche a chi non ha problemi economici. Insomma, una soluzione si potrebbe trovare, ma è tutta una questione di opportunità politica e su quello non ci sono conti che tengano.
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