E’ boom di Tattoo-changing: una persona su due ci ripensa e decide di modificare un tatuaggio di cui (evidentemente) si è pentito. Un tatuaggio dovrebbe essere una scelta per la vita, magari per rendere indelebile il nome dell’amato, o una frase che ha segnato una fase importante della propria esistenza. Col tempo, però, le circostanze e le idee possono cambiare e, se in passato la tendenza era quella di cancellare totalmente il tatuaggio in questione, oggi si preferisce una soluzione meno drastica, andando a modificare il tattoo.
Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istituto Superiore della Sanità, in Italia le persone tatuate sono oltre 7 milioni. Negli Usa le percentuali salgono: 4 adulti su 10 hanno almeno un tatuaggio. Sarà per questo che la moda del “tattoo-changing” è stata inaugurata proprio negli Stati Uniti da attori famosi del calibro di Angelina Jolie, che ha cancellato il drago che aveva tatuato sulla spalla sinistra insieme al nome dell’ex marito Billy Bob Thornton, e Johnny Depp, che ha fatto cancellare il nome di una sua ex.
Perché sì, del tatuaggio spesso ci si pente e si decide di modificarlo per le più svariate ragioni. I dati raccolti da uno studio condotto da Quanta System Observatory su circa 1600 italiani di età compresa tra i 18 e i 60 anni a conferma di questa tendenza sono eclatanti: un tatuato su due (più del 51%) vuole sostituire un vecchio tatuaggio con uno nuovo, mentre il 26% ne camuffa solo una parte per modificarne il significato per fini estetici (13%) o per eliminare definitivamente un ricordo difficile da lasciarsi alle spalle (10%).
I tatuaggi più trasformati sono quelli con i nomi degli ex (58%), le citazioni celebri (45%) e i disegni tribali (41%). Seguono quelli fatti con le ex amiche del cuore (37%), i tatuaggi venuti male (35%), lo stemma della squadra del cuore (31%), i tatuaggi considerati troppo evidenti o impressi su una parte del corpo esposta (25%), quelli ritenuti imbarazzanti come un lecca lecca o una pin-up (19%), quelli con riferimenti politici o ideologici (15%) o troppo infantili come i personaggi dei cartoni animati (12%).
Il dottor Matteo Tretti Clementoni, specialista di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva presso l’Istituto Dermatologico Europeo di Milano spiega che: “Il numero di pazienti che vogliono rimuovere i tatuaggi è in netta crescita. La tendenza a farsi tatuare durante la tarda adolescenza è sempre più elevata, spesso sotto l’influsso mediatico, ma anche il pentimento di averlo fatto è sempre più diffuso. A costoro vanno aggiunti tutti quelli che hanno molteplici tatuaggi e che ne sono felici ma vogliono cancellarne alcuni per potersi poi ritatuare. Le maggiori richieste di rimuovere un tatuaggio provengono da coloro che lo hanno eseguito in età adolescenziale e poi, invecchiando, non lo considerano più consono al loro modo di essere”.
A sottolineare gli aspetti psicologici del problema, invece, è la dottoressa Roberta Ganzetti dell’associazione Elice Onlus Milano, secondo cui: “La pelle è contemporaneamente organo di separazione-confine da quanto è fuori da noi e luogo privilegiato della comunicazione con gli altri. Farsi un tatuaggio può essere una risposta al bisogno di appartenere ad un gruppo, ma anche a quello di differenziarsi affermando la propria personalità. Alcuni momenti nella vita delle persone sono così significativi che emerge il desiderio di celebrarne l’esistenza e realizzarne la presenza a livello visivo, sulla pelle, quasi ad indossare un’emozione. Accanto ai molteplici motivi per cui farsi un tatuaggio, è interessante considerare anche quelli per cui alcune persone scelgano di toglierseli. Se pensiamo alla nostra personalità come una struttura in continua evoluzione non risulta difficile comprendere questo cambiamento come elemento fondamentale alla base di nuovi adattamenti creativi”.
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