La camorra ha deturpato paesaggi, inquinato, rovinato l’ambiente. È innegabile e anche prima del pentimento di alcuni boss dei Casalesi, responsabili di aver creato la famigerata Terra dei Fuochi, a ogni persona di media intelligenza appariva palese lo scempio edilizio e del sottosuolo in Campania. Ma ora va registrata, con altrettanta onestà intellettuale, un’inversione di tendenza che può portare a un neomarketing dei prodotti agroalimentari della regione. Quelli che finiscono sulle nostre tavole e quindi ci interessano da vicino.
La notizia da cui partire per segnalare che qualcosa sta cambiando non è inedita, ma è stata stranamente sottovalutata dai mass media nazionali. Forse perché va controcorrente e noi italiani spesso ci adattiamo al pensiero dominante. In Campania ben 5mila aziende nel settore dell’agroalimentare si sono sottoposte volontariamente a una serie di test per ricevere un marchio di qualità: il QRCode Campania sicura. Sono un quarto circa del totale e i risultati danno ragione a chi sta sfidando il demarketing mostrando di avere fiducia in ciò che produce. Infatti, solo cinque imprese non hanno ottenuto il bollino blu, ma si tratta di casi di non conformità.
Le imprecisioni dei collaboratori di giustizia
L’argomento è delicato e va fatta necessariamente una premessa. Le aziende del Nord che versavano veleni nei terreni a cavallo tra Napoli e Caserta non sono un’invenzione. Diversi pentiti di camorra, in particolare dei Casalesi, lo hanno raccontato. Così come alcuni riscontri oggettivi sono arrivati dalle inchieste della magistratura e da accertamenti tecnici sul territorio. Però onestà intellettuale vuole che si metta in evidenza anche il rovescio della medaglia: non tutti i collaboratori di giustizia hanno detto la verità e, in più di un caso, nei luoghi da loro indicati non è stato trovato nulla. Il che aiuta chi oggi sostiene che, tranne una zona ben precisa, è pericoloso oltre che ingiusto fare di tutta un’erba un fascio quando si parla o si scrive di Terra dei Fuochi. Quantomeno l’attenzione delle forze dell’ordine e la natura stessa hanno impedito che gli effetti dell’inquinamento abbiano distrutto a tal punto l’ambiente da impedire una produzione sana e salubre.
Il biomonitoraggio ambientale
Dunque, gli esiti dei test del QR Code Campania sicura, agganciato all’altro progetto regionale “Campania trasparente” sul biomonitoraggio ambientale, possono fare da contraltare al clamore mediatico sulla Terra dei Fuochi che ha provocato pesanti cali nei consumi di prodotti agroalimentari locali per sfiducia e diffidenza. In particolare, su circa 20mila aziende produttrici dell’intera filiera (dai grandi caseifici alle microimprese in cui si coltivano pomodori o cipolle) un quarto di esse ha fatto richiesta di sottoporsi agli accertamenti, ottenendo di partecipare al piano completo di analisi.
Così, gli esperti e i tecnici dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno hanno estratto campioni dall’acqua, dal terreno, dalle produzioni vegetali e animali prima di compararli con i dati ricavati dai risultati sulla qualità dell’aria e le condizioni ambientali del territorio in cui opera l’impresa, a partire dalle falde acquifere. Alla fine il bollino QRCode è assegnato solo ai prodotti conformi alla normativa mentre, in caso di contaminazioni, la fonte di inquinamento viene bonificata.
L’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno
«Il pregiudizio va combattuto con la ricerca e mezzi scientifici moderni», afferma Antonio Limone, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno, specializzato in ricerche e analisi finalizzate alla sicurezza alimentare, che abbraccia Campania e Calabria con 400 dipendenti e sede centrale a Portici. «Dopo il demarketing forzato, bisognava recuperare reputazione e credibilità per il prodotto campano agricolo e i campioni effettuati ci dicono che è salubre e sano. Inoltre “Campania trasparente” e QRCode permettono di correlare, dati alla mano, ambiente e salute».
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