Di Terrazza Sentimento abbiamo sentito parlare incessantemente un paio di anni fa circa, così come del suo proprietario, Alberto Genovese. Eppure quello che è accaduto l’ormai tristemente famosa notte del 10 ottobre lo abbiamo saputo solo di recente, grazie al racconto della protagonista, che ha trovato la forza di parlare e raccontare i fatti accaduti in quelle 20 tragiche ore in cui era diventata praticamente prigioniera dell’imprenditore.
Quando Aurelia – è questo il nome ragazza protagonista della tristissima vicenda di Terrazza Sentimento – è diventata “la prima vittima nota” di Alberto Genovese aveva solo 18 anni. Era poco più che una ragazzina, quindi, eppure da allora la sua vita è cambiata irrimediabilmente e ancora oggi, a distanza di più di 25 mesi, sta cercando di combattere contro i ricordi di quella tragica notte, che non le danno tregua e non le consentono di vivere una vita “normale”.
Terrazza Sentimento: questo è il nome del luogo appartenente ad Alberto Genovese, divenuto teatro di abusi, stupri, violenze. Quello in sostanza in cui di sentimento se ne vedeva poco, ma di droga tantissima. C’erano in giro per i locali dei piattini su cui veniva servita come se fossero caramelle. Era lì, in bella vista, accessibile a chiunque varcasse quella porta, superasse quei controlli a cura di quei buttafuori che avevano il compito di sequestrare i cellulari. Sì, perché guai se potevi fare chiamate, mandare messaggi, avvertire qualcuno che c’era qualcosa che non andava: dovevi entrare lì e dimenticarti del mondo esterno per potervi restare. E, vedendo quello che è successo ad Aurelia, all’epoca solo 18enne, possiamo capire bene perché.
Eravamo in piena pandemia: era l’anno in cui il Covid era scoppiato ed aveva invaso il mondo intero, tutti i Paesi – Italia compresa ovviamente – dovevamo convivere con restrizioni, limitazioni, privazioni. Tutti, tranne che Alberto Genovese a quanto pare, che anche allora poteva organizzare festini nella sua Terrazza Sentimento indisturbato. Era ottobre quando iniziò a circolare una notizia che aveva letteralmente sconvolto tutta l’Italia: una ragazza era rimasta intrappolata per più di 20 ore in quella casa in pieno centro a Milano, incosciente, sotto l’effetto di droghe ed alcol.
Quella stessa ragazza oggi, due anni dopo, ha un nome, un volto, un’identità, che probabilmente non è più la stessa di allora. Ma finalmente, cosa più importante di tutte forse, ha anche una voce, con cui ha potuto raccontare dettagliatamente i fatti di quel tragico 10 ottobre che le ha cambiato per sempre la vita.
Era il 10 ottobre, l’autunno era iniziato da poche settimane, i contagi stavano aumentando nuovamente e già c’era puzza di nuove restrizioni. Poche settimane dopo, infatti, sarebbe arrivata la suddivisione in zone – rosse, arancioni e gialle – che avrebbe visto proprio la Lombardia in prima fila tra le regioni in cui le limitazioni sarebbero state più accentuate, data la moltitudine di casi. Eppure, chissà come e perché, ad Alberto Genovese era concesso organizzare feste a casa sua. Possiamo lasciare da parte la questione su come questo sia stato possibile, perché quello che stiamo per raccontare è di gran lunga peggiore di ogni regola anti-Covid non rispettata. Questa, insomma, è solo la punta di un iceberg grande quanto la dignità umana, su cui a quanto pare Genovese si è schiantato irrimediabilmente.
Era il 10 ottobre dicevamo. Quel giorno iniziò a girare voce che a Terrazza Sentimento ci sarebbe stato uno dei numerosi party che venivano organizzati in quel periodo. Milano – come gran parte delle città di Italia – all’epoca non offriva poi moltissimo: tutti avevano paura del Covid del resto. E così una giovanissima ragazza, di cui oggi possiamo rivelare il nome, Aurelia, insieme ad un’amica decise di passare a vedere com’era la situazione prima di andare ad una festa di compleanno. All’epoca aveva solo 18 anni, era appena maggiorenne, ancora adolescente a tutti gli effetti e mai avrebbe potuto immaginare che la sua giovinezza le sarebbe stata portata via in un giorno solo. Anzi, in 20 ore per essere precisi.
Era un weekend ed erano le 20 circa. Presto perché potesse accadere qualcosa di male, qualcuno penserà. E invece no, perché la follia mista a cattiveria e condita con le droghe non ha orario.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di ricostruire dettagliatamente i fatti di quella sera. Aurelia e la sua amica si incontrano in Piazza Duomo e insieme si recano nella famosa Terrazza Sentimento. Arrivate lì, seguono l’iter “solito”: il controllo da parte dei buttafuori, la spunta sulla lista, la consegna dei cellulari. Aurelia in quella casa c’era già stata almeno un paio di volte, sempre per prendere parte alle famigerate feste di Genovese, ma in quelle occasioni tutto era andato liscio (per quanto possa andare liscio un party organizzato in piena pandemia, tra fiumi di droga e alcol).
Quella sera però qualcosa sembra diverso dal solito: il proprietario di casa ha notato quelle due ragazze giovani, sole in mezzo alla folla. Le ha notate e ha deciso di avvicinarsi un po’ troppo a loro, tanto da farle sentire a disagio, al punto da costringerle a lasciare la festa. Ma proprio lì qualcosa va storto: Aurelia lascerà la casa, sì, ma solo più di 20 ore dopo. E da quel momento in poi i suoi ricordi si fanno confusi. Una bottiglia – in cui non è chiaro cosa ci fosse – passatale da Alberto, lui che la prende per mano e la porta nella sua camera da letto, poi un blackout dovuto al mix di sostanze e il risveglio, più di 20 ore dopo. Oggi nella mente di Aurelia c’è ancora caos, molti ricordi non sono nitidi, le sembra di non riconoscere cos’è accaduto realmente e cosa ha immaginato per via della droga.
Ma a raccontare quello che è accaduto in quel lasso di tempo ci hanno pensato le telecamere installate nella stanza di Genovese. E quella di Aurelia, senza entrare troppo nel dettaglio volutamente, è stata una storia di abusi, di violenze (di tutti i tipi, sia chiaro), di torture vere e proprie. Quello che inquieta sono i “no” e i “basta” che si sentono nei video. Sono tanti, tutti di seguito, ma non sono stati abbastanza efficaci da fermare il suo “carnefice” e farlo desistere dal continuare a fare quello che stava facendo.
Per fortuna – oppure per via della droga – la mente della ragazza ricorda pochissimo di quella terribile notte infinita, ma a far accendere una lampadina ci ha pensato il suo risveglio e, soprattutto, ci hanno pensato il sangue che ha visto, il dolore lungo tutto il suo corpo che ha provato. Eppure, nonostante tutto ciò, neanche questo è riuscito a bloccare la violenza ingiustificata ed ingiustificabile di Genovese, ancora intatta anche il giorno dopo. Dopo tutto quello che aveva fatto alla giovane, non era ancora soddisfatto, così vedendola sveglia ha pensato bene di urlarle contro immotivatamente, di buttarle dal balcone un stivale altrettanto immotivatamente e poi di prenderla per i capelli, buttarla giù dal letto e trascinarla per tutto il corridoio.
L’unica via di fuga di Aurelia a quel punto è il cellulare, che aveva consegnato la sera prima al buttafuori. Non è chiaro come sia riuscita a tornarne in possesso, ma quello che è certo è che il giorno dopo è riuscita a inviare un messaggio all’amica che era con lei la sera prima – e che era preoccupata dopo averla persa di vista – e a chiederle di andare a prenderla e di chiamare la polizia qualora fosse sparita e non fosse più riuscita a sentirla. Quella minaccia – quella di avvertire le forze dell’ordine – è stata l’unico mezzo per convincere Genovese a lasciarla andare. Ma l’incubo per lei era appena iniziato.
Arrivata in ospedale, Aurelia ha capito la gravità della sua situazione. Lì è rimasta circa 2-3 giorni (non lo ricorda bene) e le sue condizioni erano talmente serie da costringerla a trascorrere gran parte delle prime ore in carrozzina, dato che non riusciva più neanche a camminare. Poi la denuncia – insieme a quella partita d’ufficio dopo la visita dei medici che aveva accertato subito che una violenza grave c’era stata – che però Genovese ha provato a farle ritirare. Qui scende in campo un altro personaggio importante di questa vicenda: Daniele Leali, che potremmo definire il braccio destro dell’imprenditore. Quest’ultimo, nel disperato – ma soprattutto folle – tentativo di aiutare il suo “amico”, decide di proporre alla ragazza una sorta di do ut des. La sua proposta era chiara: “io ti do 2mila euro più tre bottiglie di champagne, tu ritiri la denuncia” (su quella partita d’ufficio poteva fare ben poco). Come se la dignità di una ragazza di soli 18 anni, l’umiliazione che ha dovuto provare, sua vita distrutta, potessero essere quantificate.
Per fortuna, però, Aurelia rifiuta quella cifra e va avanti per la sua strada, aspettando che la legge faccia il suo corso. Alla fine la legge il suo corso l’ha fatto, l’ha dichiarata vittima e ha condannato Genovese a otto anni e quattro mesi di carcere. Il caso di Aurelia inoltre è stato anche utile per scoperchiare un vaso di Pandora, fatto di violenze ripetute, droghe assunte senza sosta, vite spezzate per sempre. Prima della 18enne, c’era stata un’altra ragazza ad aver subito più o meno la sua stessa sorte: esattamente tre mesi prima anche una 23enne era stata vittima di violenza per mano dello stesso carnefice. L’unica differenza era stata la location (in quel caso il teatro degli orrori era stata villa Lolita a Ibiza), insieme al fatto che ad essere coinvolta era anche la sua ormai ex fidanzata Sarah Borruso, condannata a sua volta a due anni e cinque mesi. Ma la vicenda non fu poi così diversa.
Oggi sono passati due anni da quel 10 ottobre, come abbiamo anticipato. Aurelia ha 20 anni e, come ha ammesso di recente in un’intervista rilasciata a Quarto Grado, quello che le è successo ha cambiato la sua vita per sempre. Come ha detto – forse in modo anche un po’ troppo indelicato – il conduttore del programma, Gianluigi Nuzzi, non sappiamo né se né quando uscirà definitivamente da questo tunnel così buio, da cui fatica oggi a intravedere la luce. Non sappiamo con assoluta certezza quando i “problemi sociali” che ha menzionato, ma nel cui racconto non si è voluta addentrare, saranno per lei solo un tristissimo ricordo. E non sappiamo neanche se e quando potrà ricominciare a condurre una vita “normale”, a fidarsi di nuovo del genere umano – soprattutto maschile – ciecamente. L’unica cosa che sappiamo per certo è che, com’è giusto che sia, Alberto Genovese sta pagando per quello che ha fatto. Una magra consolazione per Aurelia, certo, ma almeno questa volta – a differenza di altri casi di cronaca divenuti ormai celebri, di cui non parleremo in questa sede – la giustizia ha fatto il suo corso.
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