C’è un dramma silenzioso che le comunità indigene devono affrontare quotidianamente nel torpore indifferente dell’opinione pubblica internazionale, quello delle terre rubate che nega il diritto naturale di queste popolazioni di vivere nei luoghi da cui dipendono. Depredati, ridotti alla miseria, quando non uccisi, gli appartenenti alle popolazioni indigene del mondo non possono nemmeno esercitare diritti legali sul 75 per cento delle loro terre, secondo quanto rivela uno studio internazionale: mentre i potenti della Terra si affaticano a trovare accordi internazionali, non riescono a far rispettare i più elementari diritti all’interno dei loro confini, mettendo a rischio tanto l’identità culturale quanto l’ambiente.
Il rapporto della Rights and Resources Initiative ha infatti rilevato che le piccole comunità locali hanno diritti legali per appena il 18 per cento delle terre: parliamo complessivamente di circa 1,5 miliardi di persone appartenenti alle comunità indigene, le quali fondano tutta la loro società su un’economia di sussistenza, dipendente dalle risorse naturali che il territorio offre loro. E non è un caso che spesso siano proprio loro il baluardo principale a difesa del pianeta contro speculazioni assortite, come accade ad esempio in Amazzonia. La diretta conseguenza di questi mancati diritti degli indigeni sono povertà, perdita di identità culturale e distruzione dell’ecosistema, come ha dichiarato il coordinatore dello studio Rri Andy White: ‘Questo rapporto precisa il catastrofico fallimento dei governi nel rispetto dei diritti fondamentali alla terra di più di un miliardo di persone. I capi di governo stanno negoziando accordi internazionali per porre fine alla povertà e fermare i cambiamenti climatici su scala globale, ma non riescono a rispettare tali principi all’interno dei propri confini. Troppi governi stanno ancora distribuendo le terre degli indigeni per attività economiche che sfruttano le risorse naturali, accelerano il riscaldamento globale e distruggono i mezzi di sussistenza‘.
Dallo studio emerge nel dettaglio come alcuni Paesi più di altri violino i diritti fondamentali degli indigeni: in particolare India e Indonesia sono in cima alla lista dei ‘cattivi’, con appena l’1,2 per cento e lo 0,2 per cento dei territori riconosciuti. Le ripercussioni sull’ambiente sono talmente evidenti da risultare quasi pleonastico sottolinearle, a cominciare dalla deforestazione, che aumenta a dismisura nei territori soggetti a tutela governativa, invece che sotto la protezione degli indios. L’unico dato in controtendenza, che getta una luce di cauto ottimismo sulla situazione globale, è che l’88 per cento dei Paesi esaminati, 64 in tutto, presenta almeno una normativa che prevede il riconoscimento legale dei diritti delle comunità sulla terra, che gli indigeni possono esercitare nelle sedi opportune. La questione è far applicare tali leggi, soprattutto quando entrano in gioco desideri di sfruttamento delle risorse presenti, dai giacimenti di petrolio e gas naturale all’agricoltura intensiva. Quando la terra, ben lungi dall’essere un luogo di pace e convivialità, diventa terreno di conflitti armati in nome della cupidigia umana.
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