[didascalia fornitore=”ansa”]Una veduta di Castelsantangelo sul Nera[/didascalia]
Il 56enne Massimo Dell’Orso era stato sfollato da Castelsantangelo sul Nera, in provincia di Macerata, dopo che il piccolo centro nell’appennino era stato colpito dal terremoto del 26 ottobre 2016. Da allora viveva ad Alba Adriatica, centro balneare sulla costa abruzzese. Il 56enne si è gettato nel vuoto dalla finestra del bagno e la notizia diffusa il primo maggio, poche ore dopo il tragico gesto ha sconvolto tutti coloro che lo conoscevano. Nelle parole commosse del sindaco di Castelsantangelo sul Nera Mauro Falcucci, riportiamo un ricordo dell’uomo che era conosciuto e molto amato dalla sua comunità.
“E’ un dramma nel dramma, la nostra comunità è sconvolta dal dolore, non ci sono parole. Esprimo a nome di tutti la vicinanza e il cordoglio alla moglie. Massimo curava per il parco il centro di recupero per animali selvatici (l’oasi faunistica di Castelsantangelo, ndr), era un appassionato della fauna e amanti dei nostri luoghi. Stava attendendo la delocalizzazione del suo bad e breakfast”.
E’ probabile quindi, che alla base del gesto estremo ci siano anche i due anni vissuti da sfollato, oltre che la perdita delle sue attività commerciali, tre piccoli B&B che gestiva insieme alla moglie Stefania a Vallinfante di Castelsantangelo sul Nera e la mancata assegnazione della SAE per la richiesta di delocalizzazione di queste attività.
Sui social qualcuno lo ha ricordato così, come ”Un uomo pieno di passione e rispetto per la natura, una persona da ammirare e sostenere, una vera risorsa per tutti. Lo stato di abbandono nel quale versa in special modo Castelsantangelo sul Nera e la mancanza di prospettive trovano nel gesto di Massimo l’espressione di una sofferenza immensa. Ti vogliamo bene Massimo, tanto. E ci scusiamo con te per non essere stati in grado di aiutarti. I tuoi sogni di rivedere questi posti di nuovo splendere, ora sono i nostri”.
Stefania, la moglie di Massimo Dell’Orso, qualche giorno dopo il suicidio del marito ha trovato la forza di parlare del gesto estremo del marito, sicura che se l’uomo fosse rientrato nella casetta a Castelsantangelo, questo non sarebbe successo: “Ce lo devono avere sulla coscienza, mio marito”, che non aveva mandato giù di dover stare ad aspettare che la burocrazia facesse il suo corso, mentre vedeva gli anni passare senza che accadesse nulla. Raccontava Stefania: “Quando il 30 ottobre 2016 alle 23.30 abbiamo varcato la soglia dell’hotel, smarriti, stanchi e traumatizzati, pensavamo di fermarci solo una notte per cercare poi una sistemazione diversa e più vicina. Siamo rimasti quasi un anno e mezzo” in attesa di poter tornare definitivamente nel borgo appenninico “poi ci siamo trovati in mezzo alla strada”.
Ma l’uomo non ce l’ha fatta a restare ad aspettare una ricostruzione che sembra non interessi più ai politici della zona e nazionali, la moglie ricorda ancora: Massimo “non poteva stare lontano da lì. Amava la natura, era innamorato del Parco. Lontano, sulla costa, si sentiva un lupo in gabbia. Noi non abbiamo scelto di rinunciare alla Sae, e questo va detto. Siamo stati costretti (dalle leggi sorte ad hoc, ndr). Se fossimo stati nella casetta a Castelsantangelo, questo non sarebbe successo. Ce lo devono avere sulla coscienza, mio marito”.
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