Trecentonove rintocchi di campana rimbombano tra le strade dell’Aquila, città capoluogo Abruzzese nata da un disegno armonico senza precedenti nella storia dell’architettura urbana. Di armonioso in quella città oggi sembra non esserci più nulla. Almeno non da cinque anni a questa parte. I fatti sono sufficientemente noti: la notte del 6 aprile 2009 un terremoto di magnitudo 6.3 della Scala Mercalli colpisce l’Abruzzo e in particolar modo quella città così ricca di storia, patrimonio culturale di un intero Paese che sembra avergli voltato le spalle. 309 le vite calpestate da mucchi di macerie.
La denuncia arriva da Legambiente: “Solo il 20% degli edifici andati distrutti a seguito del terremoto del 2009 risulta ad oggi esser stato interamente ricostruito”. Cinque lunghi anni per un misero 20%. Circa otto miliardi e mezzo di euro spesi non sono bastati a ridurre in modo sensato la devastazione dei centri dell’Aquila e limitrofi.
A puntare il dito è anche il Comune: “Sono 11mila gli interventi di ripristino conclusi a fine dicembre 2013, sui 22mila previsti. Sono 18mila le persone assistite, che vivono ancora in alloggi provvisori, di cui 11mila nelle new town (progetto C.a.s.e L’Aquila) e 2mila nei moduli abitativi provvisori (progetto map L’Aquila)”. Questo a fronte dello stanziamento di 12 miliardi di euro in cinque anni. Ma all’Aquila non si ritorna a vivere dignitosamente.
Qualcuno, 5 anni fa, in una delle sue molteplici visite, tra cui anche un G8, aveva parlato di “miracolo aquilano”. E quel miracolo non si può di certo dire che non si sia avverato: si è sbagliato ancora. L’Aquila è stata martoriata ancora una volta: isolatori sismici fallati, infiltrazioni d’acqua, riscaldamento rotto, cedimenti di intonaco. Stiamo parlando della costruzione delle “new town”, seguita dai media con dirette tv e puntate speciali. Ma dal giorno dell’inaugurazione in poi, il “progetto C. a. s. e.” di Guido Bertolaso, allora capo della Protezione Civile, ha cominciato a venire giù. Pezzo dopo pezzo. Il primo atto è un’impietosa relazione redatta dagli ingegneri dell’ufficio tecnico dell’Aquila, pochi mesi dopo la consegna degli appartamenti: “Sono evidenti i segni di deterioramento degli edifici che sono inaccettabili”.
Ma non è tutto: poco dopo, la Procura dell’Aquila apre un’inchiesta sui settemila isolatori sismici che sostengono i 185 palazzi. Ed è qui che il miracolo si avvera: almeno duecento degli isolatori sismici a pendolo montati sui pilastri che sostengono gli edifici, sono destinati a sbriciolarsi se mai la terra dovesse tornare a tremare come quel 6 aprile di 5 anni fa.
Ma i numeri all’Aquila non sono solo quelli delle ricostruzioni senza criterio. Ad esser ancora più sconcertanti sono i numeri degli sprechi: 3 mesi dopo quella lunga notte che nessuno potrà dimenticare, l’Aquila sarà palcoscenico di una nuova barbaria, questa volta falsamente legittimata di fronte agli occhi di tutto il mondo. Il 35° vertice del G8 si doveva tenere alla Maddalena ma per volere del governo Berlusconi si spostò tra le strade de L’Aquila. Ma veniamo ai numeri: cinque milioni di euro per ospitare alla Caserma Coppito i “grandi” del calibro di Obama, Putin, Sarkozy, Gheddafi, Merkel. 26mila euro per i cadeaux: penne in edizione limitata; 22mila euro per i portacenere di Bulgari. Fino all’incredibile costo di 35 milioni di euro per i gabinetti chimici, spreco denunciato da Libera. Chi aveva scelto di andare via, chi tentava di ritornare a vivere in una tendopoli, chi una casa non ce l’aveva più, chi aveva visto la morte in faccia, chi cercava la normalità in una terra che di normale non aveva più nulla: ad accomunare i protagonisti di quel terremoto del 2009 c’era solo la disperazione. Ma nel frattempo qualcuno stava facendo di quella disperazione mezzo per farsi pubblicità.
A cinque anni di distanza, Papa Francesco ricorda i terremotati e quella che ormai è considerata come la città-cantiere più grande d’Europa, affidandosi al dialetto locale: “Jemo ’nnanzi”(andiamo avanti). E gli aquilani, quelli che hanno scelto di restare, avanti ci vanno. Non hanno scelta. Come non la si era avuta più di 600 anni fa: la città dell’Aquila sorge su uno dei territori a maggiore sismicità della penisola italiana e, fin dalla sua fondazione, è stata funestata molte volte da eventi tellurici. Un forte terremoto si verificò il 9 settembre del 1349: si stima che abbia prodotto danni valutabili nel decimo grado della Scala Mercalli. Le vittime furono circa ottocento e, poiché all’epoca gli abitanti dell’Aquila erano meno di diecimila, si trattò di quasi il 10% della popolazione. Gli storici parlano di una città fantasma che ha avuto la forza e il coraggio di ritornare a far sentire la sua presenza al centro del Bel Paese. C’è una frase che racchiude bene lo spirito degli aquilani ed è quella riportata sullo stemma comunale: Immota Manet, Rimane ferma, ben salda, locuzione latina tratta dalle georgiche di Virgilio. Oggi, molto più di ieri, quel’Immota Manet ha ben ragione di esser apposta sullo stemma di una città che tra le macerie e i cantieri deve ritrovare la tenacia per risollevarsi. Intanto noi chiediamo scusa per 309 volte. Quelle scuse che nessuno ha mai avuto il coraggio di fare.
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