Terremoto Ischia: c’è un precedente, che risale al 28 luglio del 1883. Sisma di 5.8 gradi della scala Richter e bilancio molto più pesante di oggi: più di 2 mila morti. Anche allora era estate ed era sera, le 21.30. Il Comune di Casamicciola – il più colpito anche oggi – fu raso al suolo. Danneggiati pure Lacco Ameno e Forio. Una scossa di 13 secondi, assolutamente distruttiva, valutata del X grado della Scala Mercalli.
Dalle cronache dell’epoca un bilancio pesantissimo: i morti furono 2.313, a Casamicciola se ne contarono 1.784. Il secondo comune a pagare il più alto tributo di sangue fu Forio, con 345 vittime, poi Lacco Ameno con 146. Altri morti a Barano (10) E Serrara Fontana (28). Complessivamente i feriti furono 762. Nel 1883, a Casamicciola erano 4.300 gli abitanti. La maggior parte delle abitazioni non resse alla scossa e crollò completamente (il 79,9 per cento), le altre (il 19,9 per cento) furono danneggiate. Ne rimase in piedi e illesa soltanto una.
Tanto fu forte il terremoto di più di un secolo fa che entrò nell’immaginario collettivo e si coniò la frase “Qui succede Casamicciola”, per dire che sta per succedere un putiferio. Tra le vittime del devastante sisma del 1883 ci furono anche i genitori di Benedetto Croce, filosofo che aveva 17 anni e venne estratto vivo dalle macerie. Non così la sorella, che morì insieme a mamma e papà. Benedetto Croce si porterà dietro ferite fisiche, ma soprattutto psicologiche.
La figlia Lidia ha raccontato: “Aveva appena conseguito la licenza liceale ed era in vacanza con la famiglia, quando la terra tremò. Mio padre si salvò e fu estratto dalle macerie dopo due notti, riportando la frattura di una gamba e di un braccio”. Lo stesso filosofo racconterà nel 1915 il momento preciso della scossa. Lui era nel soggiorno di Villa Verde, casa di proprietà del padre e proprietario terriero Pasquale Croce, dove la famiglia trascorreva le vacanze. La scossa fece sprofondare il padre, letteralmente ingoiato dalle macerie. La sorella fu sbalzata verso il soffitto. Lui raggiunse la madre, che si era rifugiata sul balcone; da qui, entrambi precipitarono.
“Rinvenni a notte alta e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò ch’era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina (ma più tardi), fui cavato fuori, se ben ricordo, da due soldati e steso su una barella all’aperto. Lo stordimento della sventura domestica che mi aveva colpito, lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gl’incerti concetti sui fini e sul significato del vivere, e altre congiunte ansie giovanili, mi toglievano ogni lietezza di speranza e m’inchinavano a considerarmi avvizzito prima di fiorire, vecchio prima che giovane. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi; i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio“.