Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e il pm Enrico Pavone hanno chiesto il processo con rito immediato nei confronti dei 4 presunti militanti vicini all‘Isis, arrestati lo scorso 28 aprile in Lombardia. Sono il campione di kick boxing marocchino Abderrahim Moutaharrik, 27 anni, da tempo residente a Lecco con la moglie Salma, il connazionale Abderrahmane Khachia, 23 anni, residente in provincia di Varese, fratello di un “martire” dell’Isis, e Wafa Koraichi, 24 anni, sorella di un aspirante mujahidin che con la moglie italiana e i 3 figli sarebbero partiti circa un anno fa per la Siria.
Nella casa del campione di kick boxing, Abderrahim Moutaharrik a Lecco, gli investigatori hanno trovato un “pugnale da combattimento” simile a quello usato nelle esecuzioni da parte dei combattenti dell’Isis. L’arma era custodita nell’apposita custodia ed nascosta all’interno di uno zaino posto sotto il materasso nell’apposito vano del letto. “L’arma bianca, in eccellente stato di conservazione e atta all’uso, è simile a quella brandeggiata da un miliziano del califfato, in prossimità del collo di una persona condannata come ‘traditore dello stato isalmico’ e decapitata che si rileva in un filmato rinvenuto registrato e memorizzato all’interno del Samsung di Moutaharrik ed inviatogli attraverso la piattaforma ‘Telegram’ da un anonimo interlocutore”, si legge nel verbale della perquisizione effettuata a casa di Moutharrik.
I quattro presunti militanti dell’Isis avevano già ottenuto la “tazkia” ovvero l’autorizzazione a recarsi in Siria per andare a arruolarsi nelle file dell’Isis. E quando il 28 aprile scorso sono stati arrestati, la loro partenza era imminente. Il “motore” del gruppo sarebbe stato proprio Moutaharrik, che vantava contatti diretti con il Califfato e che aspirava più degli altri a diventare un “martire di Allah”, organizzando un attentato in Italia. Tra gli obiettivi possibili, aveva individuato il Vaticano o l’ambasciata di Israele a Roma. Un messaggio indirizzato al campione di kick boxing, partito dalla Siria ma intercettato dagli inquirenti milanesi, recitava: “Se fai un attentato, è una cosa grande”. E proprio lui era il destinatario di un “poema bomba”. Il componimento conteneva tutte le indicazioni per commettere un atto terroristico in Occidente. Poco dopo l’arresto, Moutaharrik ha dichiarato di non volersi arruolare con l’Isis e di voler partire per la Siria per aiutare la popolazione civile.
La richiesta di processo con rito immediato (saltando cioè la fase dell’udienza preliminare) con al centro l‘accusa di terrorismo internazionale dovrà essere ora valutata dal gip Manuela Cannavale e, in caso di via libera, gli imputati avranno tempo per chiedere riti alternativi.