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Dopo gli attacchi da parte degli hacker ai computer della Sony Entertainment Pictures nei giorni scorsi, lo studio cinematografico ha ufficialmente ritirato dal mercato “The Interview”, la nuova commedia del duo comico composto da Seth Rogen e James Franco. Nel film, Rogen e Franco interpretano due malcapitati giornalisti che, dopo esser riusciti ad ottenere un’intervista con il dittatore in carica della Corea del Nord, Kim Jong-un, ricevono dalla CIA l’ordine di assassinare il loro intervistato. A seguito di esilaranti avventure, i due riusciranno nel loro compito. La trama e la natura del film non è piaciuta ai funzionari nordcoreani, che dopo l’uscita del trailer hanno minacciato ritorsioni.
La Sony ha deciso per il ritiro dopo che un gruppo di hacker è riuscito ad infiltrarsi nei computer della compagnia, cancellando file (rimpiazzandoli con delle foto della bandiera americana in fiamme) e manifestando l’intenzione di attaccare i cinema che proietteranno la pellicola con violenti attentati. La Casa Bianca ha annunciato che la Corea del Nord ha avuto un “ruolo centrale” negli attacchi, mentre i nordcoreani hanno negato il coinvolgimento sostenendo però che l’attacco sia stato “un atto legittimo da parte di sostenitori e simpatizzanti”.
Si tratta di un avvenimento senza precedenti, che segna una sconfitta per la libertà di parola in tutto il mondo. Per quanto possa sembrare un fatto di triviale importanza, è una delle poche volte in cui gli Stati Uniti cedono a delle minacce. In ballo ci sono i delicati rapporti con una nazione che, tutto sommato, è riuscita nel suo lavoro di censura anche al di fuori dei propri confini.
Nel 2006 abbiamo assistito all’uscita del film “Death of a President“, del regista britannico Gabriel Range, che senza troppi convenevoli mostrava quello che sarebbe successo prima, dopo e durante l’eventuale omicidio del presidente in carica degli Stati Uniti, all’epoca George W. Bush. Il film ha ricevuto innumerevoli critiche dai sostenitori dell’allora presidente, suscitando forte stupore in molti cittadini statunitensi, ma forte della libertà d’opinione ha fatto il suo ingresso nei cinema. Persino Hillary Clinton, all’epoca senatore per lo stato di New York, condannò apertamente “Death of a President”, sostenendo che anche solo immaginare uno scenario del genere fosse “disgustoso”.
Gli attacchi alla Sony hanno preoccupato gli Stati Uniti, che fino a poco fa non credevano che la Corea del Nord fosse in possesso della tecnologia e dell’abilità necessaria a compiere tali infiltrazioni. Le grandi catene di cinema negli Stati Uniti, quali AMC Entertainment, Cinemark e Regal Entertainment, hanno per prime rinunciato alla proiezione del film, che poi è stato del tutto ritirato dal mercato.
Sony ha il suo quartier generale a Tokyo, in Giappone, che per la sua vicinanza geografica con il regime di Pyongyang ha sempre condotto una politica estremamente cauta con la Corea del Nord. Il Giappone tenta da anni di non compromettere ulteriormente i rapporti con la Corea del Nord, lavorando sul rilascio di diversi suo cittadini, prigionieri del regime nordcoreano addirittura dai tempi della Guerra Fredda.
Kim Jong-un, come i suoi predecessori, tiene la Corea del Nord in pugno anche grazie ad una forte campagna di censura, inibendo qualsiasi tipo di pensiero non conforme alla natura del regime. Un’intera nazione è ignara di quello che succede al di fuori dei propri confini, afflitta dal rigore e dalla povertà imposti dal suo “capo benevolo”.
I tempi del “non trattiamo con i terroristi” sembrano finiti. Le forti prese di posizione che più di una volta hanno portato alla morte di ostaggi in giro per il mondo sembrano essere svanite di fronte alle minacce di una delle roccaforti dell’abuso dei diritti umani. L’assenza di una commedia demenziale targata Hollywood potrebbe non pesare sul futuro dell’umanità e della libertà, ma questa concessione alla violenza è molto più pericolosa di quanto si possa immaginare. Segna un precedente che può istigare altri a fare il buono o il brutto tempo tramite attacchi ai computer che, tutto sommato, costano poco e sono difficili da combattere. Segna un precedente che mette a tacere, tramite la paura, una nazione che ha sempre fatto della libertà d’opinione uno dei suoi punti principali.
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