Milan e Inter sono pronte a sfidarsi per due volte in una settimana in semifinale di Champions League. Basta questo per stralunare gli occhi e per capire che, comunque vada, sarà una pagina stupenda di storia per l’Italia e per tutta l’Europa. Una storia che parte da Milano e affonda le sue radici nel mito, in una rivalità cittadina non sempre sana, ma tremendamente identitaria. Lo definiamo derby da sogno, perché Euroderby non ci piaceva e sembrava pure un po’ riduttivo. Soprattutto perché c’è tanto di onirico per due squadre che non si aspettavano di essere lì insieme proprio quest’anno, ma che ci stanno credendo davvero.
Sono le 03:54 e il letto si fa sempre più caldo. “Ma ci sono 11 gradi…”. Eh ma domani c’è il derby. La vita del tifoso è un continuo peregrinare tra uno stato di allerta costante, il rifiuto della realtà e un’estasi orgasmica totalizzante, che non si sa ancora cosa significhi ma nelle vittorie c’è poco altro che si desideri. Ci sono partite che sono già iscritte agli elenchi della leggenda e del Paradiso calcistico, prima ancora di bussare alle porte del Divino per farsi aprire. Che è il momento di oltrepassare il tunnel e ritrovarsi 80mila lì per te.
Che i calciatori non sono più undici per parte, ma milioni per ciascuno. Ci sono club, e poi partite, che rappresentano identità ben precise, colori, stili di vita e caratteri, influiscono sulla formazione come Goethe o Salinger, ma in maniera molto più diretta e istintiva. Un po’ meno didascalica. Sono il fanciullo che ognuno di noi ha dentro, ogni tanto si reprime, poi rispunta all’improvviso e si abbraccia. Non per immaturità, solo essenza piena di chi abbiamo scelto di essere e chi saremo, senza che il futuro possa sporcarlo. È come quando la ragazzina in seconda elementare ti chiede che squadra tifi, perché il papà altrimenti potrebbe arrabbiarsi di quella cotta che sa già di matrimonio e, in realtà, anticipa di anni anche solo il suo menarca. Inter o Milan, Milan o Inter: a Milano da lì non ti schiodi, pena l’emarginazione o quello sguardo strano che un po’ ti giudica, un po’ ti vuol dire che ti stai perdendo troppo.
E così cresci, sperimenti, sbagli e con poche certezze. Qualche amore va in malora, qualche altro ti piace un po’ di più, lavori. Poi continui, godi ogni tanto. Altre piangi senza farti vedere e ci sono anche i primi lutti. Formi i tuoi gusti e ti convinci che siano i migliori, poi ti rendi conto che il migliore non lo sarai mai. Tra le certezze c’è il pallone, che quello non smette di rotolare, e quei valori che non puoi dimenticare e che il calcio ti ha insegnato, a volte, più della mamma. È sempre il passato che ci conduce al presente, dai fiocchi, i banchi, i polpastrelli colorati di bic e le sbronze del sabato sera che poi passano al venerdì, e poi a entrambi. A Milano lo sanno bene e anno dopo anno hanno preservato quella tradizione che porta a vivere il derby in maniera talmente totalizzante da diventare routine.
La colazione è la stessa del 22 maggio 2010, mai quella del 5 maggio 2002, sia mai. O ancora quella del 28 maggio 2003, e che bello che era Sheva e quanta gioia ci ha regalato. Ancora quei calzini in fondo al cassetto, rotti e bucati, ma guai a chi li tocca. Una certezza. Lo stadio, eh che stadio, che San Siro non si sfiora a costo di incatenarci in milioni, scatenare la diplomazia del cugino del fratello del politico e scendere in piazza, come minimo. E, a confronto, chissenefrega di aborto, marijuana, pillola abortiva, lavoro, pensioni e Pnrr. Che la tradizione non si tocca per i soldi e non ha neppure un prezzo. Se c’è, nessuno può pagarlo. Demolirlo? E come? Poi dopo una semifinale di Champions League così… Follia che il denaro ci ha costretto a giudicare necessaria, più dei sentimenti.
Quel bambino e quella bimba con le codine, sì con il grembiulino rosa che faceva un po’ donnina e meno maschiaccio, più dolce e femminile delle altre, come quella lì dei cartoni che magari averla in classe, non avevano il minimo senso di cosa fosse l’amore, cosa la passione, cosa l’istinto e quali erano i margini per definirli. Ma si guardavano e sapevano amarsi, molto più di quanto non avrebbero saputo fare in seguito. Allo stesso modo, il ragazzino si innamora della sua maglietta un po’ larga e sempre sudata con lo stemma della sua squadra sul cuore e di quel super santos già sgonfio che il nonno aveva comprato due o tre giorni prima. Il colpo di fulmine è quello della domenica quando ti senti più piccolo del televisore, molto meno importante e consapevole, e al momento del fischio d’inizio ti perdi totalmente in quel pallone che gira, in quegli idoli che non dimenticherai mai e che saranno sempre più grandi di quelli che arriveranno, chissà perché. Diventa tutto, la droga più sana che un bambino possa desiderare, senza abusarne una o due volte la settimana. Non c’è altro che quella lotta identitaria che trova solo il suo culmine in quei novanta minuti, ma è perenne, tanto da portarti a scansare i bambini che non la pensano come te. Cacca e pupù, sì, e un sorrisino in più in chi non ha più gli strumenti per capirti, ma ti invidia pure un po’. E come si può non definirlo amore per una squadra, per l’Inter, per il Milan, per il derby? Per sempre, forse l’unico credibile per davvero, anche a pronunciarlo a voce alta.
Chi ha vissuto la partita del 2003, anche quella volta in semifinale e anche quella volta in Champions League, oggi ha venti anni in più. Da infante a giovane, da ragazzo a adulto, da adulto ad anziano. È passata un’epoca, un paio di generazioni o forse tre, ma quello spirito dei primi anni di scuola non è cambiato. È sempre amore nella sua declinazione più profonda che si espande in protezione, cura, lacrime, fino a sembrare scemi e dare ordini dal televisore o dal terzo anello. E poi te la prendi con l’allenatore di turno, che lo stemma non cambierà comunque. Che la razionalità c’entra poco e nulla e illudersi di avere il potere di fare qualcosa conta, di certo, un po’ di più della realtà di essere impotenti. Il cuore vibra e vibrerà anche stasera, le urla ci saranno, la delusione pure e fa tutto parte del gioco. Di quella libertà che ci fa scegliere da che parte stare e poi non ci fa cambiare più idea, che non si può proprio fare. Non è una scelta, è un modo di essere e di quello non possiamo liberarci.
Venti anni fa comunque alla fine, con una regola discutibile, errori evidenti e rimasti nella storia (Kallon-Abbiati vi dice qualcosa?) a spuntarla fu il Milan, lasciando i brividi e il vuoto in un intero popolo che, dall’altra parte del Naviglio, ha fatto una fatica tremenda ad accettare la sconfitta. E probabilmente la cicatrice non si è mai rimarginata. Anche perché un paio di anni dopo le cose sono andate alla stessa maniera e pure peggio per il Milan e per il calcio italiano, visto il caos, i disordini, la monetina in testa a Dida e l’inferno che si scatenò a San Siro. La parte brutta dello spettacolo che il calcio può regalare, in quel caso la brutalità ed esattamente quello che non vorremmo affatto vedere stavolta.
I numeri nel football contano e conta anche la storia, per questo i tifosi, soprattutto di parte rossonera, si ripetono ossessivamente i dati che gli danno pienamente ragione. Il Diavolo ha sempre eliminato le italiane che ha incontrato in Champions e l’Inter ne sa qualcosa. Erano squadre diverse, con esperienze diverse, sicuramente la rosa a disposizione del Milan era più forte, più qualitativa e capace di arruolarsi tra le migliori in assoluto di tutta la competizione. Per i nerazzurri non era esattamente così e all’epoca nemmeno in Italia, dove poi la Beneamata tornò a vincere nel 2006, almeno sul campo. Ad ogni modo, anche in quell’Euroderby e quando la bilancia sembrava non discostarsi molto dal mezzo, la partita fu estremamente equilibrata, tanto da decidersi esclusivamente per i gol in trasferta, che fa anche più male. Con le regole di oggi, non sarebbe finita in quella maniera e ci troveremmo a parlare di altro, di altre pagine di storia e aloni diversi al mito dell’una e al fallimento dell’altra.
Come nella vita, però, si può solo guardare avanti, e la Beneamata ha dovuto aspettare addirittura venti anni per rivivere un’emozione simile. Molti, anzi quasi tutti gli interpreti di allora, non ci sono più, con i soli Javier Zanetti e Paolo Maldini che sanno cosa significa. Sono cambiati anche i presidenti, e non solo una volta, l’assetto societario, gli obiettivi e le possibilità di spesa, eppure quelle sensazioni non sono poi così diverse. Da catalogare nello scaffale dell’unicità e averne cura per non farla impolverare.
È inevitabile che, per tutto quello che c’è alle spalle, l’Euroderby versione 2023 suoni come una vendetta bella e buona dal punto di vista dell’Inter. Un modo per avere un rivalsa rispetto alla storia, agli eventi che hanno caratterizzato vittorie, sconfitte e sfottò di ogni sorta, ma anche per gli eventi dello scorso anno. Con la squadra di Simone Inzaghi favorita, alla fine ad alzare lo scudetto è stato il Milan nell’anno della girata di Olivier Giroud, della fatal Bologna e degli insulti a Hakan Calhanoglu, l’ex di turno che, però, non è comunque come tutti gli altri. Tutti questi fattori aggiungono ancora più pepe a un confronto che non ne avrebbe bisogno in realtà.
Quella frenesia, l’elettricità in città, la vita che si sottomette al calcio e poi ritorna a scorrere. Come sempre, ma come un sortilegio che ha il dovere di infondersi in ogni fibra del corpo e delle cose e di dominare pian piano, silenziosamente e sempre di più con la partita che si avvicina. Tutto nel capuologo, in questi giorni e soprattutto oggi, sembra parlare di Milan-Inter, di quello che sono stati, di cosa voglia dire vivere una sfida così in città, del clima che si respira e di come Milano te lo fa vivere. Basta pensare alla metro Lilla, quella che conduce direttamente a San Siro e che sembra addobbata, metà di nerazzurro metà di rossonero, come nelle occasioni imperdibili. Una festa che diventa attesa e poi ansia, per entrare in un mito che va oltre anche l’essenza stessa di calcio in sé e per sé e sfocia nella cultura popolare. In quegli eventi che si potrebbero raccontare ai nipotini quando e se sarà o che si vorrebbero cancellare subito dalla memoria, non potendolo fare. Anche stavolta sarà così, perché tra Milan e Inter, tra quelle realtà così diverse, eppure anche un po’ vicine, alla fine ne resterà solo una e avrà accesso al 10 giugno. Solo andando oltre si può arrivare al mito, solo superando i rivali di sempre, solo disegnando una pagina di realtà che è molto più di una semplice partita di calcio. E ci dispiace per chi non la vive in questi termini.
In una serata così magica e ricca di pathos la gente ha una reazione strana, ma per chi non la prova. Gli occhi persi, il sonno perso, la vita un po’ più persa, con lo stress, i pensieri e i volti tutti rivolti lì: all’Inter e al Milan, a quello che succederà, al presente e al futuro. Le ultime settimane sono state quelle esclusivamente del derby, in tutta la sua bellezza. Questa partita, comunque vada a finire, verrà ricordata come quella dei record. E non perché abbiamo la sfera di cristallo e sappiamo già come finirà, ma essenzialmente per l’appoggio che le due squadre stanno sentendo in questa stagione. San Siro è sempre pieno stracolmo e già è arrivato il picco di incasso e di biglietti venduti per assistere al match di andata. Il ritorno potrebbe andare anche meglio.
Segno di un attaccamento morboso, meraviglioso, praticamente tutto ciò che una squadra desidererebbe per essere sostenuta in tutti i suoi successi e che a Milano si sente in maniera particolare. Il derby è questo, un caleidoscopio immenso che ti prende, ti avvolge e ti stringe la mano fino a trascinarti, e non esclude nessuno. Basta pensare a tutti i tifosi vip che saranno allo stadio. Una lista infinita, un po’ per parte, e che vede nomi importantissimi per una o per l’altra parte del Naviglio: Novak Djokovic, che ha già detto in diverse occasioni di tifare Milan. Poi anche Matteo Berrettini, accompagnato dalla discussa compagna Melissa Satta. Anche per quanto riguarda i cantanti il palinsesto è ben forito: da Lazza a Ghali, dai tenori del Volo a Blanco, a Mr Rain, Rkomi, Sangiovanni, Irama, Ernia, Elettra Lamborghini, Gianmaria, Slait e Benjamin Mascolo (ex Benji e Fede).
Non mancano nomi importanti anche per i motori, quali Gasly e Giovinazzi, mentre come per la tv ci saranno Fabio Volo, Fiammetta Cicogna, Beatrice Vendramin e Vittoria Ceretti. Per l’Inter ovviamente Alessandro Cattelan. Insomma, a questo punto, a un soffio dal match, c’è solo da sedersi, smettere di pensare e godersi un momento che potremmo anche non rivedere tanto presto. Perché questa è la sfida delle sfide, il derby per eccellenza (come l’ha definito più volte Simone Inzaghi), è quella notte che non si dimentica. E va bene così, sperando che reggano anche le coronarie.