La musica sta cambiando, questo lo sappiamo, ma non tutti sanno che la colpa è (soprattutto) di TikTok. Non ci credete? Vi spieghiamo dettagliatamente i motivi.
La colpa del cambiamento della musica – italiana e mondiale – è (soprattutto) dei social, ormai è appurato, ma sapete chi è il colpevole numero uno? TikTok. Ecco perché.
La musica sta cambiando, questo lo sappiamo tutti. Ma quanto, come e perché? Anzi, “Per colpa di chi?”, avrebbe detto Zucchero negli anni ’90. Gli anni ’90, che belli pensandoci oggi. Erano quelli gli anni di Attenti al Lupo di Lucio Dalla, di Uomini Soli dei Pooh, di Quando di Pino Daniele. Cosa hanno in comune questi brani (diversissimi tra loro dal punto di vista stilistico, si intende)? La capacità di segnare non solo un’epoca, ma anche le generazioni future. Sì, perché ancora oggi, vent’anni dopo, le cantiamo, le conosciamo a memoria, le consideriamo iconiche. Allora la domanda che sorge spontanea oggi è: un domani potremo fare la stessa cosa delle canzoni che ascoltiamo in radio oggi?
Inutile dire che la risposta è no (al netto di qualche rarissima eccezione non italiana però, sia chiaro), ma perché? Vale la pena analizzare questo fenomeno socio-artistico-culturale che da circa un decennio (ma forse anche di più, suvvia), sta trasformando la musica, quella vera, in un mero insieme di note e parole orecchiabili che in pochissimi secondi, però, si tramutano in meteore, quelle che arrivano potentissime a un millimetro dal suolo, ma poi cadono, si disintegrano e scompaiono (non prima di aver lasciato danni, però).
Danni, sì, esattamente: cosa sanno i giovani adolescenti di oggi di musica? Conoscono forse Jimi Hendrix, oppure si limitano a idolatrare il chitarrista dei Pinguini Tattici Nucleari (con tutto il rispetto per la band, il cui stile è sicuramente più fine rispetto a quello di molti altri colleghi)? Sanno che il punk – quello vero, non quello che inneggiano Fedez&company, fingendosi rockettari – nacque grazie ai Ramones negli anni ’70 e che poi sulla loro strada si insidiarono tutti gli altri (Clash compresi, per loro stessa ammissione)? Conoscono Elvis, oppure pensano che il rock sia nato con Vasco? Probabilmente no.
Ma cos’è cambiato nel frattempo? Oggi lo sappiamo: il colpevole ha un nome e un cognome (anche se su questo ci sarebbe una parentesi infinita da aprire).
La prima cosa che dobbiamo dire circa il succitato discorso sull’immortalità dei brani è che no, oggi non è possibile creare della musica che possa vivere per sempre e attraversare generazioni su generazioni, perché – complici soprattutto i social, su cui torneremo tra poco – oggi tutto corre troppo veloce. Ci sono troppi input, troppe distrazioni, troppe informazioni che arrivano da tanti fronti differenti. Non c’è il tempo di concentrarsi su un brano, un album, un artista.
Mentre sembra che qualcuno stia spopolando arriva qualcun altro su YouTube et similia e gli ruba il posto d’onore. Non c’è spazio nell’Olimpo degli dei musicali per tutti, i posti sono pochissimi e sono già occupati da artisti e band che hanno scritto davvero la storia della musica e che nessuno è riuscito poi a surclassare. Perché? Perché la capacità di rivoluzionare un mondo che, di per sé, si prefigge l’obiettivo di essere già rivoluzionario è troppo complicato. Perché oggi sembra che la stravaganza debba regnare sovrana a ogni costo, quando nella musica spesso less is more. Forse anche perché ormai i salti di qualità li hanno fatti già troppi artisti e superarli significherebbe arrivare fino in cielo e non è possibile riuscirci. Però, ammettiamolo, se solo qualcuno avesse avuto (e avesse oggi) le qualità per poter farlo lo avrebbe già fatto.
Il problema è che un tempo c’era lo studio, c’era la gavetta, c’erano le prove infinite negli scantinati – agli Oasis piace questo elemento – e solo dopo settimane, mesi, anni si arrivava al successo. Quest’ultimo era meritato: i fratelli Gallagher – e soci – dallo scantinato in cui erano soliti suonare passarono ai pub e poi, solo alla fine, a esibirsi sui palchi più grandi di tutto il mondo (salvo poi sciogliersi, ma questa è un’altra storia).
Ecco, sono gli step che oggi mancano e la colpa è di internet, dei social, ma anche dei talent: dalla cameretta di casa loro, tantissimi giovani artisti si sono trovati catapultati in teatri, palazzetti, festival nel giro di pochi mesi. A volte è YouTube il mezzo, altre sono programmi come X Factor, Amici, The Voice e chi più ne ha più ne metta. In ogni caso, poco cambia: senza gavetta, senza esperienze, senza anche porte sbattute in faccia, perché no, la strada da fare può sembrare semplicissima da percorrere, ma alla fine si rivelerà priva di dossi, di salite, di curve improvvise. Ci vuole tempo per ogni cosa, ci vuole pazienza, ci vuole dedizione: senza questi ingredienti sarà molto difficile spiccare il volo, sarà sempre come se mancasse un’ala.
E poi, alla fine delle fiera, ci pensa TikTok, il social dei giovanissimi per antonomasia, che a sua volta condiziona Instagram (il social invece dei giovanissimi, ma anche degli adulti ormai) a rovinare quel poco di buono che resta della musica. Come fa? Ve lo spieghiamo subito partendo da un esempio.
Annalisa – che, non a caso, proviene proprio da Amici – non molto tempo fa ha pubblicato un singolo, Bellissima. C’è da premettere che la cantante è molto amata, certo, ma attualmente forse non è proprio nella top three (ma neanche nella top five probabilmente) degli artisti più amati in assoluto di Italia, perché – dobbiamo ammetterlo – ce ne sono altri, tra cui Blanco, Ultimo, ma anche Sfera Ebbasta, che è stato il cantante italiano più ascoltato su Spotify nell’ultimo decennio, che la superano abbondantemente in fatto di ascolti (dati alla mano). Ma non importa, perché il nostro intento non è di certo sminuirla in questo senso né tantomeno metterla in competizione con suoi colleghi che non hanno alcun nesso con la sua musica.
Qualche mese fa Annalisa ha pubblicato Bellissima, dicevamo. Canzone carina, orecchiabile, anche ballabile, ma di certo non ricollocabile in quelle che potremmo definire hit immortali. Ebbene, ancora oggi, dopo sette mesi (è uscito precisamente il 2 settembre 2022, alla fine dell’estate insomma) il brano continua a spopolare. Anzi, lo fa più di prima: appena fu rilasciata la canzone non ebbe tutto questo enorme seguito (non fu un flop, sia chiaro, ma neanche un successone). Cos’è successo dopo? Semplicemente è finita su TikTok, divenendo uno dei brani cult da porre come sottofondo nei video, e poi, come accade sempre, da lì è rimbalzata su Instagram, poi anche su Facebook e così è diventata virale (che oggi è sinonimo di famoso).
Ma cos’è successo ancora dopo tutto questo? Annalisa ha pubblicato un altro brano, Mon amour, il 31 marzo 2023. Lo avete ascoltato? Seguendo la scia del precedente, sembra che il singolo sia stato appositamente studiato per cavalcare l’onda di TikTok e sbaragliare la concorrenza, così da diventare “iconico” (le virgolette sono doverose) sul social e da girare ed essere condiviso dai vari utenti. Il risultato – sembra quasi inutile dirlo – è l’ennesima meteora musicale, che probabilmente tra qualche mese sarà completamente dimenticata da tutti.
Del resto è un po’ quello che sta accadendo a tantissimi brani: quelli recenti sembrano essere realizzati seguendo minuziosamente le tendenze del momento, quelli passati vengono stravolti (per non dire storpiati in molti casi) per poter essere adattati ai social, nelle loro versioni speed up in molti casi (cioè quelle accelerate che possono diventare in questo modo le basi perfette per i celebri balletti), oppure, al contrario, slow (quando devono diventare il sottofondo di video tristi e malinconici nella maggior parte dei casi).
Alla fine, così facendo, non ci ricordiamo neanche più i titoli veri delle canzoni, gli autori, i cantanti. Ascoltiamo “cose”, senza sapere nulla di loro. Non c’è più curiosità, non c’è ricerca, non c’è ambizione: gli artisti (se così si possono chiamare) vogliono solo sfondare nel mercato discografico a ogni costo, sgomitano ferendo gli altri (ma anche sé stessi in molti casi) solo per primeggiare senza scrupoli, corrono incessantemente senza fermarsi a ragionare e riflettere sulla loro identità. Del resto, oggi che importa essere diversi dalla massa: c’è una ricerca talmente sfrenata della diversità che ormai sembra essere diventata omologazione e in questo mare magnum trovare davvero sé stessi, la propria essenza vera (non condizionata da una mera ricerca di mercato), la propria indole è davvero complicato.
Ecco che così alla fine tutti sembrano uguali a tutti, nessuno più cerca di capire cosa davvero vuole comunicare, perché è il mercato – non discografico, però, quello dei social a cui il primo ormai si appoggia inevitabilmente – che gli impone chi deve essere ormai. Questa è una realtà che non può non essere considerata, perché in questo quadro per nulla idilliaco anche chi invece ha delle qualità (più o meno nascoste) viene penalizzato giocoforza (vedi Lazza, che non è solo rapper, è anche musicista e ha studiato al conservatorio, tanto da ricevere i complimenti dal maestro Vessicchio addirittura, ma di questo si parla sempre troppo poco).
Chiudiamo con un quesito: siamo sicurissimi che la colpa non sia un po’ anche degli utenti, che assecondano gli ascolti proposti dai social, anziché cercare di allontanarsi dai prototipi proposti e dissociarsi da questi ultimi?
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