Nel caso della ragazza morta suicida in Italia, dopo che alcuni suoi video hot fossero stati diffusi in rete, la notizia – da diversi giorni presente su tutti i giornali, anche della stampa estera – l’aspetto più significativo non solo è stato il diverso modo in cui gli utenti hanno “metabolizzato” l’accaduto dando ora la colpa alla vittima per la sua noncuranza nel prestarsi a questo tipo di attività ora a chi senza permesso ha pubblicato siffatto materiale in rete, ma anche la forma in cui questo accanimento mediatico è stato vissuto in Italia a differenza di altri paesi.
Nel caso specifico della Spagna, ad esempio, è subito evidente come i commenti alla notizia da parte dei lettori (e/o utenti dei social), non avendo partecipato direttamente alla gogna mediatica subita dalla ragazza, si siano spostati verso l’ingiustizia della condanna emessa dal tribunale italiano secondo la quale (almeno così è stato riportato dai mezzi spagnoli) essa stessa era stata condannata a pagare la cifra sostanziosa di 20.000€ come risarcimento a favore dei siti che all’epoca avevano deciso di pubblicare i video.
LA STORIA DI TIZIANA CANTONE, DAL VIDEO AL SUICIDIO
Altro aspetto particolare del dibattito fra gli utenti spagnoli è stato quello della netta distinzione tra il diritto privato di della persona a girare nell’ambito della sua intimità qualsiasi tipo di materiale senza per questo acconsentire di forma esplicita alla sua pubblica distribuzione. Molto criticata dunque quella “giustificazione” apportata da alcuni secondo la quale “era evidente che la ragazza durante il video era consenziente e consapevole di ciò che faceva”.
Il cyberbullismo, quindi, e la mancanza di tutela da parte della legge – italiana ma anche a livello internazionale – nei confronti della vittima sono stati al centro delle polemiche. Pochi i commenti di stampo maschilista o che alludessero al contenuto del video in se (anche se qualche eccezione alla regole la troviamo sempre).
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Infine, qualche perplessità sul latente maschilismo ancora presente in un paese come l’Italia, che sembra non volersi rassegnare nel concepire la figura della donna entro certi cannoni ormai anacronistici.
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