La storia di Tiziana Cantone dovrebbe insegnarci una cosa: il cammino verso una società civile è ancora lungo. Per l’ennesima volta, la società ha giudicato, ha sentenziato, senza possibilità di replica. Tiziana Cantone si è uccisa perché schiacciata dalla gogna, dai giudizi, dalle cattiverie. E i responsabili siamo tutti noi, nessuno escluso.
Sembra di esser tornati indietro di secoli, a un tempo in cui le donne erano sottoposte al giudizio sociale sempre e comunque. Qual è stato lo sbaglio di Tiziana?Girare un video? Era una faccenda privata e se in questa storia c’è un colpevole, di certo non è lei, ma una delle bestie che ha buttato il video in rete. Immagino Tiziana camminare per le vie della sua città con una enorme A sul petto, additata dai passanti e schiacciata dai loro sguardi pesanti.
A questi esseri immondi che hanno insultato, sbeffeggiato, ferito a morte Tiziana Cantone chiedo: ”Se fosse successo a vostra sorella, a vostra cugina, a vostra madre, come avreste reagito? Avreste scritto comunque zoccola e gioito davanti alla sua morte?”
La storia di Tiziana Cantone dovrebbe insegnarci a essere più cauti nei giudizi, ciascuno di noi dovrebbe essere parco di parole e riflettere prima di dare fiato alla bocca. I commenti sui social, le parole, lo sghignazzare alle sue spalle, i giudizi perfidi e senza limiti si sono insinuati, giorno dopo giorno, invio dopo invio, nella sua anima, fino a farla cadere nel tunnel. Tiziana non è stata abbastanza forte da vedere la luce alla fine di questo tunnel e ha deciso di farla finita prima.
Se chi di dovere avesse compreso appieno il suo disagio, se Tiziana avesse avuto la fortuna di incontrare persone positive sul suo cammino, avrebbe saputo che anche la tragedia più grande può essere superata. Bisogna darsi tempo: il tempo di soffrire, il tempo di leccare le ferite, il tempo di rialzarsi. Tiziana ha deciso di non regalarsi quella fetta di tempo, probabilmente perché pensava di non meritarla.
Purtroppo sparare sentenze è insito nell’animo umano. Si fa prima a pensare “Se l’è cercata“, anziché “Devo dare il mio contributo per una società migliore”. La violenza (perché di questo si tratta), fisica o psicologica che sia, non è mai giustificabile ed è sempre (sempre!) da condannare. Purtroppo le vittime sono sempre (sempre!) giudicate complici, colpevoli a metà, istigatrici.
Una storia di violenza viene sempre commentata con un pericolosissimo “Chissà cosa è successo veramente e perché è stata picchiata/stuprata/uccisa! Chissà com’era vestita!“. Adattando il concetto a questa vicenda infinitamente triste, i commenti sono: “Ha girato lei il video, fatti suoi! Sì, si è uccisa, ma guarda cosa ha fatto prima!“. Anche questa è violenza, grave e pericolosa al pari delle percosse e di uno stupro.
Lo dico da donna e da vittima di violenza. L’abito non fa il monaco, accettatelo. Purtroppo può capitare di rimanere imbrigliata in una triste vicenda di violenza, ma -fidatevi – non è mai la donna a ”cercarsela”!
Una riflessione è d’uopo. Il web dovrebbe aiutare a confrontarsi, a crescere, a diventare persone migliori. Invece, ancora una volta, diventa facile espediente per sfogare il proprio odio, la propria insoddisfazione, la propria pochezza per sentirsi meno falliti. Cosa siamo diventati?
Mi spiace per Tiziana. La immagino nella sua stanza a fissare il soffitto mentre prova a trovare una via d’uscita e, forse, si chiede “è tutto vero o è stato solo un incubo?“.
Abbiamo sbagliato tutti. Hanno sbagliato le istituzioni perché non hanno dato il giusto sostegno per far sì che un trauma di questo genere non si trasformasse in tragedia. Hanno sbagliato i cosiddetti leoni da tastiera che non hanno risparmiato epiteti irripetibili. Hanno sbagliato le persone che hanno pensato: “Ha girato un video, è una poco di buono“.
Ma prima e più di chiunque altro ha sbagliato chi ha provocato tutto questo: uno tsunami che ha distrutto tutto e portato via con sé anche Tiziana.