E’ stato annullato l’ergastolo per gli italiani Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni. La Corte Suprema dell’India ha deciso per l’immediata liberazione. Erano accusati di omicidio ed erano stati considerati responsabili della morte del loro compagno di viaggio, Francesco Montis. Il loro caso è stato oscurato nel corso degli anni dall’attenzione mediatica sui marò, i due fucilieri di Marina detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori. E’ curioso notare come sui marò ci siano stati molti interventi da parte del Governo italiano, ma l’India sulla questione non sembra essere stata disposta a collaborare in maniera solerte. Questo caso, invece, passato quasi inosservato all’opinione pubblica e per il quale non si sono spesi interventi governativi, è giunto ad una conclusione positiva, attraverso un’azione portata avanti direttamente dall’India.
I genitori di Tomaso ed Elisabetta hanno vissuto un incubo, perché non potevano comunicare nemmeno telefonicamente con i figli. Andavano spesso in India e la madre di Tomaso si è trasferita per stare vicino al figlio. La burocrazia dell’India ha allungato in modo incredibile la detenzione e molti amici e parenti si erano mobilitati, perché i due italiani venissero rilasciati. L’unico modo che i detenuti hanno avuto per comunicare con l’esterno è stato rappresentato dalle lettere. Attraverso questi documenti si è appresa la difficoltà per loro di trascorrere cinque anni in un carcere indiano. I genitori non hanno mai smesso di credere all’innocenza dei loro figli. Tuttavia a nessuno è stato mai permesso di esprimere la sua versione dei fatti durante il processo.
Una sentenza all’ergastolo confermata in Appello, cinque anni in attesa del giudizio definitivo trascorsi in una prigione in India, per un omicidio non commesso, dopo un processo senza prove attendibili. Si può riassumere così il caso di Tomaso ed Elisabetta, due ragazzi italiani che dal 2010 sono stati detenuti in una prigione di Varanasi con l’accusa di aver ucciso Francesco Montis, detto Checco, loro compagno di viaggio e fidanzato di Elisabetta. Il movente? Passionale. Secondo l’accusa, Tomaso ed Elisabetta avrebbero avuto una relazione clandestina. Eppure troppe cose non tornano nel processo e nelle carte per cui sono stati condannati: in mezzo, la vita di due giovani italiani detenuti da oltre milleseicento giorni in una prigione indiana.
I fatti
Tomaso Bruno è di Albenga, Elisabetta Boncompagni di Torino. Nel 2010, insieme a Francesco Montis, partono da Londra, dove lavorano, per l’India. I genitori di Tomaso, nel film documentario “Più libero di prima” dedicato alla sua storia e in fase di realizzazione (qui il link per partecipare al crowdfunding per contribuire alle spese di produzione), raccontano che quel viaggio era il suo sogno, aveva messo da parte i soldi per partire. Mai si sarebbe immaginato che si sarebbe trasformato in un incubo. I tre amici sono in viaggio con altre persone, altri italiani: a Varanasi, città sacra sul Gange, i tre condividono la stessa camera d’albergo. Tutto va per il meglio fino alla notte del 4 febbraio.
La mattina del 4 febbraio 2010 Elisabetta e Tomaso si svegliano e trovano Francesco privo di sensi. Saranno loro a raccontare alle Iene, che li ha raggiunti in India due anni fa, quella giornata. Nel primo pomeriggio avevano comprato hashish ed eroina in un negozio del luogo. Tornati in camera, aveva fumato delle canne e sniffato la droga, rimanendo poi in camera a parlare, ascoltare musica e guardare la tv. Al mattino, la terribile scoperta. Francesco è a letto privo di sensi: provano a rianimarlo, chiamano l’hotel e subito l’ospedale dove viene constatato il decesso per asfissia. Ai due giovani vengono ritirati i passaporti in attesa di capire le cause della morte. Vengono portati in prigione, al District Jail di Varanasi: da quel giorno inizia la loro odissea.
Il processo
Tomaso ed Elisabetta vengono accusati di omicidio: secondo le autorità indiane sono stati loro a strangolare Francesco Montis. Fin dalle prime fasi del processo è chiaro che qualcosa non torna. L’autopsia parla di morte per asfissia da strangolamento, anche se lo studio legale Titus di Delhi, che li difende su consiglio dell’ambasciata italiana, ribalta il referto autoptico, negando la morte per strangolamento.
La pubblica accusa individua anche il movente passionale: i due giovani avrebbero una relazione e per questo avrebbero deciso di eliminare il compagno di lei. Anche su questo punto i dubbi sono molti: non ci sono prove della relazione tra Tomaso ed Elisabetta, gli stessi compagni di viaggio, intervistati dalle Iene, hanno negato che tra loro ci fosse qualcosa. In più, i genitori di Francesco hanno testimoniato che il ragazzo aveva avuto da poco dei problemi di salute. Nulla da fare: il 23 luglio 2011 Tomaso ed Elisabetta sono condannati all’ergastolo, dopo che la pubblica accusa aveva chiesto la pena di morte per impiccagione, sentenza confermata in Appello a settembre 2012. Il 9 settembre la Corte Suprema darà il verdetto definitivo: se verrà confermata la sentenza, i due giovani saranno costretti a passare la loro vita in carcere per un delitto che non hanno commesso.
Le incongruenze
Il caso mostra diverse incongruenze. Nel loro racconto di quella giornata, Tomaso ed Elisabetta spiegano di aver avuto da subito dei problemi. Arrivati in ospedale, erano già attorniati dai giornalisti: raccontano di aver dovuto lottare per far coprire il corpo di Francesco, che in ospedale a Varanasi non c’era un obitorio o celle frigorifere e che il corpo dell’amico è rimasto in uno “sgabuzzino per ore”. L’autopsia stabilisce che Francesco è morto per asfissia da strozzamento: a redigerla è un medico oculista dell’ospedale pubblico di Varanasi. Il referto mostra delle incongruenze: secondo il medico legale interpellato dalle Iene non ci sono elementi che dimostrano lo strangolamento, ma quell’autopsia è l’unica disponibile visto che il corpo di Francesco è stato subito cremato.
Mancano poi le prove del movente passionale. Gli inquirenti indiani non li hanno portati al cospetto della Corte tanto che nella sentenza, il giudice lo mette per iscritto. “Il movente che ha spinto i due accusati ad uccidere Francesco Montis non si può dimostrare per insufficienza di prove”, si legge nella sentenza. Un’affermazione che dovrebbe portare all’immediata scarcerazione, ma che viene ribaltata nella frase successiva. “Tuttavia si può comunque ipotizzare che Tomaso ed Elisabetta avessero una relazione intima illecita”. Perché il giudice è convinto di poter “ipotizzare” (e non dimostrare) una relazione? “Una ragazza che dorme in albergo con due ragazzi può essere normale in occidente, mentre in India è una situazione inusuale, non socialmente accettata”, spiega l’avvocato che ha difeso i giovani.