“Quello di Giulio non è un caso isolato”. Paola Regeni ha scandito con fermezza queste parole in conferenza stampa: la morte del giovane ricercatore italiano, scomparso il 25 gennaio 2016 e ritrovato morto, con segni di tortura ovunque, il 3 febbraio, non è la sola di cui si è macchiato il regime egiziano. I dati sulle torture e sparizioni lo confermano. In Egitto le persone continuano a svanire nel nulla, vengono torturate dalle stesse autorità, alcune muoiono sotto le mani dei loro aguzzini. Persone innocenti sono in carcere da due anni senza avere ancora un’accusa precisa e i processi sono una farsa: ecco qual è il paese di Abdel Fattah al-Sisi.
Le associazioni che difendono i diritti umani da tempo denunciano le violenze del regime egiziano. La primavera araba del 2011 è solo un lontano ricordo, soprattutto dopo l’arrivo al potere dei militari, guidati da al-Sisi.
Complici interessi economici enormi, l’Occidente ha chiuso gli occhi e ha continuato ad avere ottimi rapporti con il governo del Cairo. Matteo Renzi a luglio 2015 in un’intervista definì al-Sisi “l’uomo che salverà l’Egitto” e si diceva “fiero della sua amicizia”. Certo, aggiunse che doveva concedere libertà di stampa e che avrebbe seguito il caso dei giornalisti di Al Jazeera condannati a 15 anni per “diffusione di notizie false”, ma tutto finì in nulla.
Renzi incontra al-Sisi a marzo 2015
Sei mesi dopo, un cittadino italiano, in Egitto per ricerche accademiche, scompare nel nulla e viene ritrovato cadavere con i segni di una tortura “lunga e professionale” su viso e corpo. L’Italia (e l’Occidente) scoprono il vero volto di al-Sisi.
Sparizioni e torture
Amnesty International ha cercato di costruire il quadro dall’inizio dell’anno. Nel 2016, in meno di tre mesi sono stati 88 i casi di torture accertati di cui 8 con esito mortale: tra loro c’è anche Giulio Regeni. Nel 2015 la situazione è identica. L’associazione per i diritti umani ha confermato 464 casi di sparizione forzata, 1.676 casi di tortura e 500 di questi con esito mortale. “Due attivisti sono morti negli stessi giorni di Giulio Regeni”, ha ricordato Riccardo Noury, presidente di Amnesty International Italia, a fianco dei genitori del ricercatore in conferenza stampa.
I dati però potrebbero essere, se possibile, ancora più terribili. Secondo l’ong egiziana Elnadeem, che si occupa del supporto alle vittime di violenza, solo nel mese di febbraio (il più corto dell’anno) in Egitto sono sparite 155 persone; 75 uccisi dalla polizia per i motivi più disparati, anche solo per un semplice diverbio con gli agenti o perché “caduti” dal tetto del commissariato. Otto persone sono morte in carcere: 77 sono state sottoposte a torture, 44 per mancate cure e 43 per aggressioni degli agenti.
In carcere senza motivi
A tutto questo, si aggiungono i numeri delle incarcerazioni senza motivo e i processi farsa. Tutto è possibile, ricorda Amnesty nel suo rapporto annuale, grazie alla Legge 94 del 2015 sulla lotta al terrorismo, in cui la definizione di “atto terroristico” è così generica da comprendere quasi ogni cosa.
Così, i giornalisti che diffondono notizie sul terrorismo diverse da quelle del governo possono essere accusati di “diffondere notizie false” e condannati. Il fotoreporter Mahmoud Abu Zeid è stato arrestato mentre stava scattando foto durante un intervento delle forze di sicurezza per disperdere una protesta il 14 agosto 2013: è in carcere da allora. Solo a dicembre 2015 è stato portato in tribunale per la formalizzazione delle accuse. Oltre ai 14 giornalisti di al Jazeera, si contano almeno altri 25 reporter vicini all’opposizione anti al-Sisi condannati a 25 anni di carcere: uno è stato condannato a morte. Amnesty ha contato, a fine 2015, almeno 700 persone trattenute in carcere da più di due anni senza un processo: si tratta di una palese violazione dello stesso codice egiziano che prevede il limite di due anni per la detenzione preventiva.
In prigione per una maglietta
Tra i tanti casi, uno esemplifica lo stato di terrore e violenza dell’Egitto di al-Sisi. Mahmoud Mohamed Ahmed Hussein, studente all’epoca 18enne, è stato arrestato al Cairo il 25 gennaio 2014 perché indossava una maglietta dell’associazione “Per una nazione senza tortura” e una sciarpa col logo della “rivoluzione del 25 gennaio” 2011. La data dell’arresto non è casuale: anche Giulio Regeni è scomparso lo stesso giorno di due anni dopo. Mahmoud è finito in prigione per una maglietta: lo hanno accusato di vari reati, compreso di appartenere a un gruppo fuorilegge e di aver partecipato a una manifestazione non autorizzata. Lo hanno torturato in carcere e lo hanno trattenuto per più di due anni senza un processo: il 25 marzo 2016 è stato liberato su cauzione.