[didascalia fornitore=”Ansa”]Maria Concetta Riina[/didascalia]
Usare il nome di Totò Riina per vendere cialde di caffè. L’idea arriva dalla figlia del boss di Cosa Nostra, morto il 17 novembre, Maria Concetta Riina che ha aperto il sito Zù Totò lanciando per il momento una raccolta fondi per iniziare l’attività di vendita online. “Siamo in due, Maria Concetta Riina e il marito Antonino Ciavarello e vogliamo commercializzare alcuni prodotti a marchio ‘Zù Totò’, iniziamo con le cialde di caffè, facciamo questa prevendita per raccogliere ordini e capitali che servono per avviarci, visto che ci hanno sequestrato tutto senza motivo”, si legge sulla home page del sito zu-toto.scontrinoshop.com. I coniugi vivono da tempo insieme ai tre figli a San Pancrazio Salentino, in provincia di Brindisi, dove Ciavarello sta scontando un residuo di sei mesi di pena agli arresti domiciliari per una condanna per una truffa commessa a Termini Imerese nel 2009.
Spulciando sul sito, l’indirizzo dell’azienda è quello dell’abitazione dei coniugi: lo stesso Ciavarello aveva pubblicizzato l’iniziativa con un post su Facebook, ora rimosso. La figlia di Riina ha dedicato al marito un post, pubblicato il 3 dicembre, in cui scrive che “il leone è ferito, ma non è morto, presto si rialzerà e continuerà a combattere”, forse in riferimento alla nuova iniziativa di e-commerce.
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Nella presentazione si legge che il crowfunding è necessario per far partire l’impresa perché il sequestro di beni e aziende riferiti alla famiglia di qualche mese fa, li avrebbe messi sul lastrico. “Grazie in anticipo della fiducia, attendiamo numerosi i vostri ordini e poi, il tempo di costituire nuova ditta e vi spediremo quanto pre-ordinato”, si legge sul sito, con tanto di indirizzo email a cui inviare gli ordini.
Il caso è stato segnalato ai Carabinieri che ora indagheranno per capire se l’e-commerce parta direttamente dalla coppia o se si nasconda qualcosa d’altro: i magistrati di Palermo sono convinti che la figlia di Riina e il marito non abbiano alcun problema economico e che anzi avrebbero utilizzato le attività in Puglia per riciclare denaro del clan.
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