Anche Pierfrancesco Favino ha voluto commemorare Francesco Totti dopo l’addio alla Roma. L’attore, romano e tifoso romanista, ha infatti scritto una poesia per il capitano. L’addio di Totti alla Roma, che ha commosso non solo i tifosi giallorossi, ma tutti gli appassionati di calcio, rimarrà uno dei momenti più toccanti per chi ama il pallone.
Con Totti se ne va forse l’ultima vera bandiera del calcio italiano. Un campione che ha preferito rimanere fedele alla sua squadra del cuore, rifiutando offerte di club più forti e rinunciando alla possibilità di vincere di più. Il capitano, dopo il suo discorso di addio davanti a un Olimpico gremito e in lacrime, ha ispirato Pierfrancesco Favino, che gli ha dedicato una poesia.
Poesia di Pierfrancesco Favino a Totti
Tornamo a casa, so’ le 9 e mezza. Non c’ho voja de magna’, m’ha preso ‘na tristezza!
De che sei triste? Come ma de che? Nun c’ho mai avuto un regno, ma io c’avevo un Re.
E oggi m’ha abdicato. Sto tempo ce cojona, è ‘n attimo, ‘n t’ accorgi e via! Giù la corona.
Ma come, pare ieri, la maja larga addosso, che sto biondino entrava e noi “L’hai visto questo?”.
Poi ‘n so se so’ le maje oppure se ha magnato, ma zitto zitto er bionno s’è fatto fisicato.
Quanno toccava palla te rifacevi l’occhi e nun ce fu più Roma se nun ce stava Totti.
E intanto i Papi andavano, pure li Presidenti, ma io stavo tranquillo, lui in campo, sull’attenti.
Passavano l’inverni, venivano l’estati. La sabbia sul giornale, i “Chi se so’ comprati?”
L’invidia der momento pijava pure a me, ma me durava un mozzico perch’io c’avevo il Re.
Che mentre tutti l’artri cambiavano majetta, la sua come la pelle, se l’è tenuta stretta.
E questo ai romanisti j’ha dato più de tutto. Lo so, ‘n se pò capi’, ma è più de ‘no scudetto.
Perché se ‘n sei de Roma, se addosso c’hai le strisce, sei abituato a vince, nun sai che so’ le ambasce.
E vede’ il Re del calcio co’ addosso i tuoi colori, pure se giochi e perdi te fa passa’ i dolori.
Cor piede suo che è piuma e poi se fa mortaio, cor tacco, er collo, er piatto e doppo cor cucchiaio,
m’ha fatto sarta’ in piedi più de ducento vorte, tanti quanti i palloni raccolti nelle porte.
E lo voleva il mondo ma ce l’avevi tu. Ecco perché so’ triste, perché nun ce l’ho più.
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