Il rapporto fra medico curante e paziente può influire sulla riuscita della terapia e quindi il fatto di sapere che tra un medico di famiglia e un suo paziente ci sia una scarsa fiducia reciproca non è un dato confortante, perché a essere in pericolo è lo stesso processo di guarigione dalla malattia. Se da un lato non possiamo fare a meno di evidenziare come i progressi nella tecnologia abbiano cambiato completamente il mondo della medicina, dall’altro lato non possiamo negare che tutto ciò ha modificato anche il rapporto dei pazienti con i medici e i servizi sanitari in generale. In particolare, da uno studio recente condotto in Italia è emerso che tra medico di famiglia e pazienti non c’è un rapporto di fiducia incondizionato, anzi, la stima reciproca risulta essere bassa. Ecco perché.
Quando si tratta di salute, la cura non può essere vista solo dal punto di vista scientifico. La relazione medico-paziente svolge un ruolo importante e l’abilità del medico nel comunicare con il paziente rappresenta un aspetto determinante della sua competenza clinica. Purtroppo la comunicazione, che pure costituisce l’elemento su cui fondare una relazione che porti al superamento della patologia, non sempre si svolge senza intoppi. E se non c’è fiducia reciproca e propensione all’ascolto, a risentirne sarà il processo di guarigione.
L’ascolto è il primo elemento mancante, secondo un’indagine svolta tra settembre e ottobre 2016 da Altroconsumo su tutto il territorio nazionale, con un questionario a cui hanno risposto 1.742 dottori e 1.132 pazienti tra i 24 e i 74 anni. I medici sono definiti come non abbastanza empatici e i pazienti non sono collaborativi. Inoltre per più di sette medici su dieci il fatto di arrivare in ambulatorio con un’opinione già formata attraverso la ricerca sul web provoca discussioni e conflitti. Quasi sei medici su dieci, inoltre, ritengono che l’accesso a Internet da parte del paziente sia di ostacolo alla terapia.
Dalla parte del cittadino mancano trasparenza e schiettezza: quasi venti pazienti su cento hanno affermato di non chiedere – talvolta – chiarimenti al proprio medico perché si vergognano o hanno paura di sentirsi ridicoli; il 28% non esprime mai i propri dubbi sul trattamento, sebbene li abbia; il 39% dei pazienti non esprime mai il proprio disaccordo e non parla mai di questioni personali con il proprio medico.
La priorità per risolvere il problema è diventata rompere l’evidente muro di incomunicabilità che si è alzato tra medico e paziente, ma per farlo è necessario che ai futuri medici vengano dati i giusti strumenti durante il percorso universitario, cosa che si spera avvenga presto, in maniera strutturata, anche negli atenei italiani.
In collaborazione con AdnKronos