La verità è che Michael Bay o lo ami o lo odi. Il suo tipo di cinema non è per tutti, anzi no. È per tutti. Il limite tra il cinema e il trash a volte è più sottile di quanto si possa pensare. Ma la saga di Transformers, arrivata al quinto capitolo, iniziata ben dieci anni fa, nel 2007, continua a portare sullo schermo qualche cosa di unico nel suo genere. Un casino ben fatto.
L’ultimo Cavaliere, il quinto film di Transformers, lo dico subito: è un casino ma è un casino divertente. Michael Bay si affida alla figura di Mark Wahlberg che interpreta Cade Yeager, un inventore sfigato che si è inficcato da ormai qualche tempo in questa saga robotica. Lo scontro tra le forze dell’ordine preposte alla cattura e all’annientamento degli autobot e l’inventore sfigato che difende i robottoni procede nel migliore dei modi. Nessuna delle due parti se la sente di esasperare questa battaglia, lasciando che qualcosa succeda, lasciando che il passo falso lo faccia l’altra parte per definire le parti di buono o cattivo.
L’idea di cinema di Michael Bay è questa: confusione, caos, esplosioni pirotecniche e grandi lotte. La prima parte è pregna di dialoghi fitti, di cambi di inquadratura, di ambientazione rapide e senza che lo spettatore possa ben comprendere cosa stia succedendo. A partire dall’incipit che è stata davvero una bella sorpresa che ritorna perfettamente sul finale. Grande trovata per strizzare l’occhiolino agli amanti del fantasy e non solo.
Poi arriva la parte meno leggera, più costruita. La parte centrale è un po’ una mazzata dove fa male. Bay prova a fare le cose per bene, a raccontare una storia ma non è la cosa che gli riesce meglio. Qui infatti il film inizia a perdere colpi, colpi che nemmeno Wahlberg, gli Autobot, la regina Quintessa o la stragnocca Laura Haddock riescono a salvare la parte centrale, forse la più importante del film. Meno male che poi arriva Antony Hopkins.
Esatto. Salva tutto Hopkins: quasi 80 anni ma ancora un fascino cinematografico incredibile. Sir Edmund Burton entra a gamba tesa con grande energia, simpatia e con grande amore verso l’umanità e la risoluzione del mistero che ha acceso l’incipit del film. Il quinto film della saga riesce ad arrivare a compimento con una battaglia finale che non dà lo stesso gusto di battaglie ben più epiche e riuscite nei capitoli precedenti ma la confusione che Bay crea durante film aiuta a darsi delle risposte finte per lasciarsi trasportare dall’intrattenimento del film.
Il background che fa da sfondo a tutta la pellicola è la presenza di un unico filone conduttore, ossia la multietnicità. I trasformerà, come non mai, rappresentato una civiltà sconosciuta e sia gli Autobot, i buoni, sia i Decepticon, i cattivi, rappresentano il nostro mondo, rappresentano la diffusione della migrazione umana e della crescita, dell’aumento dei populismi: da Trump a Salvini, dalla Le Pen a Tavecchio (per citarne uno fuori dalla politica).
In sostanza, il film è un casino cosmico. È la confusione messa sul grande schermo ma Bay ci mette delle cose qua e là che funzionano, che riescono a metterli la pulce nell’orecchio, che ti riempiono gli occhi di intrattenimento e poi si ride. Non a manetta, ma si riesce a ridere molto e comunque L’ultimo Cavaliere riesce nel suo intento. Fa critica nonostante ci siano epiche esplosioni e cazzottoni robotici. Lo stile di Bay è sempre ben riconoscibile, mai troppo fresco ma sempre molto personale e intimo. Il sesto capitolo è già pronto in cantina ma intanto L’ultimo Cavaliere si gode il weekend d’apertura che ha fatto (in USA) 45 milioni di dollari e attualmente (Worldwibe) ha superato i 268 milioni di dollari. Come sempre Bay fa incassare i suoi robottoni. Viva Bay.
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