Charles “Lucky” Luciano
Una trattativa tra Stato e mafia che, dal passato e dagli Stati Uniti, racconta qualcosa in più del presente e dell’Italia, cioè che il rapporto tra istituzioni e organizzazioni criminali è sempre esistito. Lo dimostra il giornalista Carlo Maria Lomartire nel libro “La prima trattativa Stato-Mafia. Lucky Luciano e gli Stati Uniti 1942-1946”, edito da Mursia e che sarà presentato venerdì 21 novembre allla Feltrinelli di via Manzoni a Milano (ore 18.00) da Nando Dalla Chiesa, Roberto Gervaso e Fabrizio Capecelatro. Lo scenario è diverso: siamo nella Seconda Guerra mondiale, nelle settimane successive all’entrata in guerra degli States, e decine di mercantili, partiti dal porto di New York per l’Europa, vengono affondati da sommergibili tedeschi e italiani. La situazione verrà risolta grazie agli accordi siglati tra il Nis, l’intelligence della Marina e Charles “Lucky” Luciano, al secolo Salvatore Lucania, boss della malavita newyorchese in carcere dal 1936.
Lomartire segue tutta la vicenda, ricostruendo, grazie a documenti ufficiali, gli accordi tra l’intelligence statunitense e l’organizzazione di Lucky Luciano, durata fino allo sbarco degli americani in Sicilia. Quattro anni di trattativa che si conclusero con l’estradizione del gangster in Italia e una nuova carriera criminale con conseguenze che arrivano fino ai giorni nostri.
La storia del fenomeno mafioso è fondamentale per capire quello che sta avvenendo ora, in particolare nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia: la risonanza mediatica e politica del procedimento è culminata di recente con la deposizione del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, come testimone. Trattative simili ci sono sempre state e la storia di Lucky Luciano lo dimostra, ma cosa ha significato quella trattativa allora? Quali sono state le sue conseguenze e che rapporti ci sono tra il passato e il presente? Lo ha spiegato Lomartire nell’intervista concessa al nostro Fabrizio Capecelatro.
Il libro mette subito in chiaro, fin dal titolo, di cosa si tratta, cioè della prima trattativa tra Stato e mafia, ma cosa si deve intendere con il termine ‘trattativa’?
L.: “Credo che il termine sia un po’ abusato e anche distorto dall’uso, in parte mediatico e in parte politico, che si è fatto in questi tempi. La trattativa, secondo l’accezione del processo in corso a Palermo, sarebbe una specie di patto scellerato fra le istituzioni e l’organizzazione criminale finalizzato a ridurre le attività della stessa dandole dei vantaggi. In generale la possiamo definire come un dialogo alla pari tra due parti in cui ciascuna vuole ottenere un risultato positivo.
Il fatto che un’istituzione possa avere dei contatti con la controparte criminale non è però una grande novità. Pensiamo al maresciallo dei Carabinieri o al comandante di Polizia che usano i loro informatori, tra cui possono esserci ladri o spacciatori, per avere informazioni e ottenere risultati migliori nelle indagini. Se partiamo da qui e andiamo verso l’alto, stiamo parlando di una trattativa di cui nessuno si dovrebbe scandalizzare. Se però se ne vuole fare un uso strumentale e politico, il discorso diventa più complesso”.
Il libro racconta la trattativa che gli Stati Uniti fecero con il boss Lucky Luciano negli anni della Seconda Guerra mondiale con uno scopo ben definito. Quali sono stati gli effetti positivi in quel caso? Ci possono essere degli esiti positivi in generale nel trattare con le organizzazioni criminali? Quali sono invece quelli negativi?
L.: “Prendiamo dei casi estremi, partendo da quello che mediaticamente ha più risonanza, la trattativa Stato-mafia, a cui confesso di credere poco. Se è vera, e sottolineo se, come dice Riina, a mio parere avrebbe effetti negativi perché porterebbe a riconoscere alla mafia un contropotere con il quale si può scendere a patti. Sarebbe una cosa assolutamente negativa, anche se si fosse stretto un patto per avere particolari vantaggi.
Nel caso del libro, è evidente che la trattativa tra i servizi segreti americani e Lucky Luciano ha avuto effetti positivi. L’intenzione era duplice: bonificare il porto di New York dalle spie che davano informazioni ai sommergibili tedeschi e agevolare lo sbarco alleato in Sicilia. In sostanza, lo scopo era vincere la guerra, quindi una valenza del tutto positiva, anche perché il prezzo da pagare per gli americani è stato relativamente basso. Si trattava alla fine di liberare in qualche modo Lucky Luciano. Il vero prezzo lo abbiamo pagato noi quando è stato estradato in Italia.”
In ogni caso ci sono stati dei rapporti e degli accordi con dei criminali: trattare con le organizzazioni può portare a una loro legittimazione?
L.: “Dipende, bisognerebbe distinguere caso per caso, vedere come si tratta e in quale occasione. Anche le trattative per liberare gli ostaggi dei terroristi islamici, non legittimano certo i terroristi anche perché rimangono segrete e hanno un esito certamente positivo dato che si salva una vita. Il dato negativo è che si incoraggia questo tipo di attività per cui il terrorista può pensare a un nuovo rapimento per chiedere un nuovo riscatto. Non c’è alcuna legittimazione della controparte: c’è solo un fatto positivo dal punto di vista umano, cioè la salvezza di una vita.”
Partendo dall’episodio del libro, qual è stato il ruolo della criminalità organizzata nella liberazione dell’Italia dal nazifascismo?
L.: “È quello che ha fatto Lucky Luciano. La loro era un’immigrazione recente e i rapporti con la mafia siciliana erano ancora attivi: questo ha consentito ai servizi segreti americani di preparare il terreno allo sbarco, attraverso il contributo della mafia siciliana, con una maggiore conoscenza del territorio. È ovvio che gli americani sarebbero sbarcati comunque; in questo caso però sono stati aiutati dalle informazioni e dall’attività di penetrazione che aveva la criminalità locale.
Non bisogna pensare che all’epoca i mafiosi fossero stati messi a tacere dalla violenta attività repressiva del fascismo attuata dal prefetto Cesare Mori. La mafia sopravviveva ed era assolutamente efficiente. Certo non si può dire che gli americani sono sbarcati in Sicilia perché la mafia gliel’ha consentito: hanno però avuto, attraverso le informazioni girate da Lucky Luciano, un aiuto importante.”
Fin da allora le organizzazioni criminali di diversi Paesi avevano dei rapporti. Questo oggi può creare reti internazionali criminali?
L.: “Credo proprio di sì, a maggior ragione oggi grazie alla facilità delle comunicazioni. È chiaro che organizzazioni, non necessariamente dello stesso ramo ma che scoprono di avere in determinati momenti interessi comuni, si mettono in contatto molto facilmente e collaborano. Per fare un esempio, ora si parla di collaborazioni tra la mafia cinese e la ‘ndrangheta.”
Qual è stata la contropartita offerta dai servizi segreti americani a Lucky Luciano e che conseguenze ha avuto sulla sua attività criminale?
L.: “In realtà non gli era stata fatta alcuna promessa ufficiale: gli era stato detto molto genericamente che avrebbero tenuto conto della collaborazione. Luciano, che era considerato il gangster più intelligente dell’epoca, anche rispetto ad Al Capone, ha capito che non aveva niente da perdere e solo da guadagnare, tanto che la collaborazione è andata avanti per 4 anni. Alla fine fu liberato ed espulso dagli Stati Uniti come soggetto indesiderato, giacché non era cittadino americano. Così tornò in Italia, dando un contributo notevolissimo all’organizzazione di Cosa Nostra come la conosciamo oggi, grazie anche ai collaboratori che lo hanno seguito (tra cui i fedelissimi Vito Genovese e Calogero Vizzini). Questo è stato il risultato finale. Alla fine, le spese di questa trattativa le ha pagate l’Italia, perché è stato lui a dare all’organizzazione criminale un taglio manageriale.”
Pubblicare oggi un libro sulla prima trattativa tra Stato e mafia ha in qualche modo l’obiettivo o il rischio di legittimare le successive e quindi anche quella più recente?
L.: “Niente di tutto questo. Ho voluto raccontare questa storia perché mi sono imbattuto nei documenti ufficiali. Lo stesso titolo così attuale non ha la minima intenzione di legittimare o dare credibilità al processo che è in corso. Semmai, di sollevare qualche dubbio. Ammesso e non concesso che questa trattativa ci sia stata, per ragioni di Stato e di forza maggiore, rapporti piccoli o grandi tra organizzazioni criminali e le istituzioni sono sempre esistiti.”
Nel libro si parla di una trattativa che risale a settant’anni fa: che valore ha, nell’analisi del fenomeno criminale organizzato attuale, lo studio del passato?
L.: “La storia è sempre maestra di vita. In questo caso è un’occasione per valutare dei precedenti. Dobbiamo considerare laicamente la possibilità che ci siano, ci siano stati o che ci possano essere dei contatti personali tra determinate persone delle istituzioni e delle organizzazioni. Questo non vuol dire che ci sia stato uno scambio o un danno per le istituzioni stesse. Va anche dimostrato che un eventuale rapporto sia un reato e che quindi debba essere processato. Perché ci sia reato, bisogna configurare un danno. È certamente una cosa eticamente esecrabile, ma non si commette un reato. Siamo alla solita confusione tra l’etica e il penale. Se c’è solo un rapporto finalizzato a qualcosa che non sia reato, perché quel rapporto deve essere oggetto di un procedimento penale?”.
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