Trattativa Stato-Mafia: impugnata la sentenza del 23 settembre 2021 che assolse la maggior parte degli imputati.
La procuratrice generale Lia Sava e i sostituti Giuseppe Fici e Sergio Barbiera hanno firmato il ricorso in Cassazione contro la sentenza relativa al processo sulla trattativa Stato-mafia, che fu emessa il 23 settembre 2021. Ecco quali sono le ragioni che hanno spinto i tre ha impugnare la sentenza di secondo grado ed effettuare ricorso in Cassazione.
La sentenza, emessa il 23 settembre 2021, in merito al processo sulla trattativa Stato-mafia, è stata impugnata da Lia Sava e dai sostituti Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, i quali hanno presentato ricorso in Cassazione.
La sentenza assolse la gran parte degli imputati che furono, inizialmente, condannati in primo grado. L’assoluzione fu decretata dalla Corte d’Assise d’appello di Palermo, in quanto il “fatto non costituiva reato”.
Ad essere assolti, furono Marcello Dell’Utri, ex senatore, il generale Antonio Subranni, Giuseppe De Donno, ufficiale dei Carabinieri e tre ex ufficiali del Ros. Per Leoluca Bagarella, boss di Corleone, la pena fu ridotta a 27 anni di carcere.
Per Antonino Cinà fu, invece, confermata la sentenza iniziale. In un primo momento, Marcello dell’Utri fu condannato a 12 anni, pena prevista anche per Cinà, Mori e Subranni mentre De Donno ebbe otto anni. Furono previsti, invece, 28 anni per il boss Bagarella.
“Illogico“, “lacunoso” e “contraddittorio“: così Lia Sava e i sostituti procuratori hanno descritto il verdetto di secondo grado conferito a tutti gli interessati al processo. In 67 pagine redatte, dunque, i tre impugnano la sentenza, sottoponendo la questione alla Cassazione.
L’accusa, dunque, non condivide la lettura che è stata fatta sul comportamento attuato dai carabinieri i quali si avvicinarono a Vito Ciancimino al fine di porre fine alle stragi, secondo quanto viene esplicitato nel verdetto d’appello.
Ciò perché, come si legge dalle pagine scritte dalla Sava, insieme ai due sostituti procuratori, che ogni “genere di intesa” ha una “rilevanza penale” e, pertanto, va – ad ogni modo – punita.
Pertanto, anche se si puntava a mettere anche se l’obiettivo era quello di effettuare un’azione di contrasto verso una “frangia avversa” che fu considerata, ipoteticamente, “meno pericolosa” per poi finire per dare protezione a quella, invece, che risultò vincitrice.
A questo punto si dovrà attendere il verdetto della Cassazione e capire se il ricorso di Sava e dei due sostituti porterà a cambiare le cose, così come sono state stabilite.
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