La fine del trattato di Schengen mette a rischio la tenuta dell’Unione Europea non solo come identità ma anche a livello economico. È con questa tesi che l’Italia si appresta a far sentire la sua posizione alla riunione informale del Consiglio dei ministri dell’Interno che si terrà ad Amsterdam. La questione migranti arriva, di nuovo, come un uragano sull’Europa e rischia seriamente di travolgerla. Da una parte infatti ci sono i Paesi del blocco delle frontiere, sia a nord che a est dei confini europei; dall’altra le nazioni in prima linea da sempre nell’immigrazione come l’Italia e la Grecia, con l’appoggio della Germania. In mezzo, rimangono migliaia di persone di ogni età che sfidano il mare e lunghi viaggi via terra per arrivare nell’Unione, spesso trovando anche la morte.
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L’Italia farà sentire la sua voce, assicura il ministro Angelino Alfano. Senza Schengen, l’Europa inizierebbe a sgretolarsi. “Abbiamo una posizione molto chiara su Schengen: bisogna rafforzare i controlli e rendere veramente sicuri i controlli alle frontiere esterne dell’UE. Facendo questo, salveremo il diritto alla circolazione libera e sicura all’interno”, ha spiegato.
Della stessa opinione è anche la Germania. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, pochi giorni fa ha detto chiaramente che “distruggere il sistema Schengen vuol dire mettere l’Europa drammaticamente in pericolo, dal punto di vista politico ed economico”. Com’è la situazione a oggi?
Il fronte del sì a Schengen
Migranti al confine tra Grecia e Macedonia
Italia e Grecia sono i Paesi più coinvolti. Le chiusure delle frontiere interne all’Europa rischiano di mettere in ginocchio i due Paesi che già devono gestire da anni un flusso migratorio costante e in aumento. I migranti continuano a morire del mar Egeo e a sbarcare sulle coste italiane perché, davanti a guerra, fame e disperazione non c’è accordo che tenga: si fugge dalla violenza con e senza Schengen. Per questo, Italia e Germania vogliono tentare la strada della mediazione: la nazione che volesse sospendere la libera circolazione delle persone in Europa dovrà coordinarsi con gli altri Paesi per avere il via libera. L’idea è di evitare situazioni come quella attuale in cui i Paesi che rappresentano le mete predilette dai profughi chiudano le frontiere, lasciando gli Stati di primo approdo da soli.
Il fronte del no a Schengen
Danimarca, Austria e Svezia, con Ungheria e Polonia hanno già chiuso le frontiere. Lo hanno fatto di loro iniziativa, ripristinando anche per i cittadini europei i controlli che Schengen aveva eliminato. Temono di non poter gestire tutte le richieste d’asilo arrivate in questi mesi e che continuano a giungere e chiedono lo stop del trattato di Schengen per altri due anni. Ci sono anche le accuse nei confronti dell’Italia e della Grecia che non avrebbero fatto quanto stabilito per gli hotspot: senza i centri di identificazione attivi meglio chiudere le frontiere. In mezzo c’è la Germania che ha prima aperto le porte ai migranti per poi chiuderle, ma con l’idea di voler tenere in piedi il trattato UE. Negli ambienti europei circola l’ipotesi di una mini Schengen: in pratica, i Paesi del Nord terrebbero aperti i confini tra di loro, chiudendoli con quelli del Sud, a partire dall’Italia. Si tratta di un’ipotesi, non confermata e negata da più parti, ma la paura che possa diventare realtà è molta e da Roma si tenterà ogni mediazione pur di non cedere.
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Le modifiche a Schengen dopo i fatti di Parigi
Il Trattato di Schengen è già stato al centro della politica europea dopo i fatti di Parigi. I ministri degli Interni e della Giustizia dei 28 riuniti in un incontro straordinario a Bruxelles dopo le stragi di Parigi, lo scorso novembre hanno chiesto alla Commissione di presentare una revisione dell’articolo 7.2 del trattato, al fine di rendere sistematici i controlli alle frontiere esterne, per tutti, compresi cittadini UE.
La decisione riguarda le frontiere esterne, cioè tutti i viaggi al di fuori dei Paesi UE: al momento, l’articolo 7 prevede la “possibilità” di controlli per i cittadini europei che ora diventa “obbligatorietà”. Questo comporta che tutti coloro che escono e che soprattutto entrano in territorio europeo, anche se cittadini liberi di circolare con passaporti UE, dovranno essere controllati. La modifica non riguarda però i confini interni dove i controlli sono stati rafforzati solo al confine con la Francia (Parigi ospita anche la Conferenza sul clima) e il Belgio.
A livello europeo, la modifica del trattato di Schengen dovrebbe aiutare la lotta al terrorismo. La Francia chiedeva modifiche da un anno e mezzo, anche perché i servizi segreti sapevano dei numerosi foreign fighters francofoni ritornati dalla Siria. Quello che però il ministro degli Interni Bernard Cazeneuve chiede è che non ci si limiti a registrare gli ingressi: sono necessarie verifiche sulla base di dati nazionali ed europei ed è altrettanto necessario che queste verifiche siano obbligatorie. Quello che servirebbe davvero per contrastare il pericolo attentati è avere un database europeo condiviso e aggiornato in tempo reale con cui tenere sotto controllo i movimenti delle persone sospette.
Condividere informazioni. È questo il punto ed è questo che sembra non aver funzionato a Parigi. Abdelhamid Abaaoud, l’organizzatore delle stragi, pur essendo ricercato e attenzionato da tempo, è riuscito ad andare e tornare dalla Siria, a varcare i confini con il Belgio in tutta tranquillità. Salah Abdeslam è ancora in fuga, nonostante sia stato fermato a un posto di blocco sabato mattina alla frontiera franco-belga e rilasciato perché non era stato segnalato. A farne le spese sono però profughi che fuggono dalla violenza dei terroristi, sospesi in un limbo.
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