È difficile concepirlo. Eppure, gli orchi esistono e la cronaca fin troppo spesso ci mostra come abbiano le chiavi di casa. Due giorni fa, all’ospedale Sant’Anna di Torino, una ragazzina di soli tredici anni è stata violentata dal padre sotto gli occhi delle telecamere.
Questa triste vicenda è iniziata agli inizi di luglio, quando nello stesso ospedale la tredicenne si è presentata incinta ed in attesa di partorire. Trattandosi di una minore, la procura aveva autorizzato l’installazione di telecamere di video sorveglianza per cercare di capire chi fosse il padre del bambino che portava in grembo. Dato che, sia la giovane, che i suoi genitori, si erano rifiutati di rivelare chi l’avesse messa incinta. Proprio due giorni fa, il padre della ragazzina è entrato nella stanza dove era ricoverata la figlia e ne ha abusato sessualmente. L’uomo è stato arrestato in flagranza ed anche sua moglie è indagata. L’ipotesi investigativa più accreditata è che quest’ultima fosse a conoscenza degli abusi consumati tra le mura domestiche, ma che abbia deciso di coprirli. Intanto, la tredicenne ed i suoi fratelli sono stati trasferiti in una comunità protetta. Ed è stato disposto il test del Dna per verificare se l’arrestato è anche il padre del bambino.
Una bambina non scappa da chi conosce perché da quando ha memoria le è stato insegnato di non accettare le caramelle dagli sconosciuti. In generale, non esiste una categoria unica di pedofili. In concreto, si tratta di un comportamento antisociale che può essere innescato da vissuti e condotte individuali. Siamo nel campo della parafilia, cioè delle alterazioni a carico della sfera sessuale. Quel che, però, è accaduto a Torino rientra nella dimensione dell’incesto, che fa riferimento ad una qualsiasi relazione sessuale che si instaura tra un minore ed un adulto legati da un vincolo di parentela.
L’incesto passa attraverso diverse fasi. Prima di tutto il genitore abusante, che, come in questo caso, è quasi sempre il padre, si lega alla vittima in modo privilegiato. La fa sentire speciale e progressivamente inizia ad isolarla dagli altri componenti della famiglia. Così, iniziano le prime pratiche sessuali. Si parte conforme meno intrusive, che culminano sempre con la consumazione di un completo rapporto sessuale. Contemporaneamente il padre abusante attua una strategia manipolativa che induce senza costrizione la figlia che ne è vittima a mantenere il segreto. Nello specifico, l’abusante innesca il senso di colpa e la vergogna. Non un genitore, ma un orco.
Tragedie silenziose che provocano traumi e ferite difficilmente rimarginabili persino in una vita intera. Traumi che, troppo spesso, oltre ad essere causati dalla violenza in sé, sono affiancati dal silenzio assordante della madre che assiste silenziosa all’incesto. Il nucleo famigliare diventa così abusante e disfunzionale dove, chiaramente, è il padre che tiene le redini e sottomette letteralmente tutti gli altri componenti della famiglia. Generando così una sorta di collusione rispetto all’abuso.
La drammatica storia di Torino porta alla luce anche un’altra piaga della relazione domestica. Quella del rovesciamento di ruoli fra una madre e sua figlia. La tredicenne è come se si fosse sostituita in tutto e per tutto alla figura di moglie e madre.
Un circolo vizioso, in cui la bambina appena tredicenne non si è sottratta della responsabilità neppure quando si è rivolta all’ospedale per avere informazioni su come gestire la sua gravidanza. Una responsabilità alla quale evidentemente non voleva sottrarsi, essendo finita nel vortice che gli addetti ai lavori chiamano terrorismo della sofferenza. In pratica, quel che accade in una famiglia abusante. Dove i genitori più o meno direttamente caricano, sui figli tutto il disordine interno alla famiglia.
Gli inquirenti sospettano che anche la madre della tredicenne fosse a conoscenza di quanto accadeva in casa. Perché, certamente, non era la prima volta che si verificavano abusi di quel tipo. Ed infatti anche la donna, coetanea del marito trentasettenne, è stata iscritta nel registro degli indagati. Come può una madre restare impassibile rispetto a tutto questo?
Quando una madre sceglie di tacere riguardo agli abusi su di una figlia minore, la situazione non fa che precipitare ulteriormente la situazione. Ciò perché l’abuso diventa più difficile da individuare. Dato che, oltre alla bambina, anche la donna si adatta a convivere con la terribile situazione. Conseguenza di quello che noi tecnici chiamiamo ottundimento psicologico, che si concretizza in una riduzione dei processi psichici in conseguenza di tutta una serie di traumi subiti. Dunque, soprattutto nella madre, si tratta di meccanismi attivati inconsciamente per proteggere sé stessa e le relazioni importanti dalla possibile catastrofe. La dinamica di una coppia perversa può innescare questo tipo di situazione, ma anche in questo caso sarà fondamentale comprendere se la donna stessa sia stata vittima di abusi e quindi coinvolta passivamente. Il silenzio assume un significato di tacito consenso in questa situazione devastante. Perché non bisogna mai dimenticare che prima di essere vittime sono le figlie dei loro carnefici.
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