Non c’è solo l’inquinamento a mettere in pericolo la salute del pianeta, ed in particolare lo stato dei fiumi: gli ecosistemi risultano compromessi anche dalla presenza di troppe dighe, conseguenza dello sviluppo dell’industria idroelettrica. A sostenerlo è International Rivers, una organizzazione no profit statunitense impegnata nella protezione dei fiumi dall’inquinamento e dagli altri disastri causati dall’uomo, che ha messo a punto un innovativo sistema di informazione on line, State of the World’s Rivers, spiegandoci come mai i corsi d’acqua dolce sono in condizioni tutt’altro che rassicuranti.
Questo sistema ha permesso di monitorare ed analizzare in dettaglio i 50 principali bacini fluviali del pianeta, qualcosa fino ad oggi di inedito: eppure parliamo delle arterie di quel corpo vivo che è il nostro pianeta, trasportando la linfa vitale della Terra, i suoi ecosistemi più produttivi, che rischiano di essere distrutti dalla troppa frammentazione dovuta allo sviluppo dell’idroelettrico. Allo stato attuale, i fiumi sono in sofferenza per la presenza di 50mila dighe che interrompono il flusso dei grandi corsi d’acqua, producendo un impatto devastante sugli ecosistemi. Nel 1950 le dighe erano dieci volte di meno, ed entro metà di questo secolo nel Sud del mondo raddoppierà la presenza di idroelettrico, pari all’incirca a nuove 9mila dighe, con un costo in termini ambientali altissimo.
Dighe e bacini artificiali intercettano il 35 per cento del flusso dei fiumi, lasciando in trappola oltre 100 milioni di tonnellate di sedimenti ricchi di nutrienti indispensabili per il pianeta: alcuni grandi fiumi come il Nilo, l’Indo e il Colorado non riescono più a raggiungere lo sbocco a mare per gran parte dell’anno, e le conseguenze per la fauna acquatica sono terrificanti, con oltre il 40 per cento dei pesci d’acqua dolce a rischio estinzione nel solo Nord America, giusto per fare un esempio. Sono tre i parametri utilizzati per analizzare lo stato dei fiumi, frammentazione del flusso, biodiversità e qualità dell’acqua: secondo quanto emerge dai risultati, il Danubio, l’Indo, il Godavari, Tigri ed Eufrate, Volta e Fiume Giallo sono quelli messi peggio, mentre i meno compromessi, e quindi da salvaguardare ad ogni costo, Rio delle Amazzoni, Congo, Mekong, Orinoco, Paranà, Tocantins, Yangze e Zambezi. Se il beneficio economico della frammentazione dei fiumi è indubbio, è anche vero che l’impatto ecologico e il danno sociale nel lungo periodo possono essere irirmediabili: trovare un giusto equilibrio non solo è un auspicio, ma un dovere inderogabile.