Donald John Trump, noto prima per essere un imprenditore statunitense, e poi commander in chief, è diventato il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America con l’elezione dell’8 novembre del 2016.
Un personaggio anche televisivo, ma soprattutto sui generis. Che mai è sfuggito a supposizioni di sorta. Prima, dopo e durante il mandato presidenziale. Impossibile dimenticare i fatti di Capitol Hill ed il terremoto che lo ha coinvolto durante la campagna elettorale in merito ad un possibile sostegno da parte della Russia di Putin. Mi riferisco, chiaramente, al Russiagate.
L’indagine sul ruolo svolto dalla Russia, durante le elezioni presidenziali americane, era diventato un serio problema per Trump. Non solo perché la sua figura era stata accostata a quella di Richard Nixon. Ma soprattutto perché a lungo si è discusso sulla possibilità di instaurare nei suoi confronti la procedura di impeachment. Oggi, deposta la divisa da presidente, c’è cascato di nuovo. È finito nel turbinìo mediatico dopo l’incriminazione da parte della procura di Manatthan.
Nell’attesa di scoprire quali carte si giocherà il prosecutor Alvin Bragg, sappiamo per certo che l’accusa verterà sui centotrentamila dollari presumibilmente versati dal tycoon alla pronostar Stormy Daniels, affinché non rivelasse la sua liason con Donald Trump durante la campagna elettorale del 2016. Un flirt che i due avrebbero consumato mentre la moglie Melania era incinta di loro figlio Barron. Nel dettaglio, l’incriminazione si fonderebbe sulla somma di denaro pagata da Michael Cohen, ai tempi legale di Trump. Un versamento poi occultato sotto la falsa voce di spese legali. Nell’atto d’accusa, non reso noto, è verosimile che sia stato aggiunto il reato relativo alla violazione delle regole sui finanziamenti in campagna elettorale.
Poche ore fa, l’ex presidente ha annunciato che martedì sera terrà un discorso in Florida. Ma che cosa succede adesso? Che ruolo ha avuto il Grand jury? Andiamo per gradi e capiamo anzitutto chi è e come opera quest’ultimo.
Nelle ultime settimane si è discucco, e si discute, dell’incriminazione disposta nei confronti di “The Donald” da parte del Grand jury. Quest’ultimo altro non è che un organismo – operante nei sistemi giudiziari di common law – istituito da un pubblico ministero, il prosecutor, per stabilire se sussistono prove sufficienti per instaurare un procedimento giudiziario nei confronti di un dato soggetto.
Dunque, il primo elemento che emerge, è che – a differenza della giuria presente nel processo vero e proprio – il Grand jury non è competente a stabilire se una determinata persona è colpevole o meno di un crimine. Ma, al contrario, laddove ritiene che le prove presentate siano sufficienti, rimette in mano al prosecutor la decisione sulla colpevolezza. Nel dettaglio, si tratta di un organo composto da ventitré cittadini selezionati mediante estrazione a sorte. Questi ultimi, nella loro attività di valutazione delle prove, che avviene rigorosamente a porte chiuse, detengono poteri investigativi e di citazione. Possono anche ordinare l’interrogatorio dei testimoni, che però non hanno diritto ad essere rappresentati da un legale. Inoltre, i testimoni possono essere obbligati ad esibire la documentazione di volta in volta richiesta dal Grand jury. Come anticipato, il procedimento si svolge a porte chiuse per proteggere i giurati dalle intimidazioni che, invece, potrebbero esserci in caso di copertura mediatica.
Come anticipato, l’atto di accusa nei confronti di Trump ha a che fare con il pagamento erogato a favore di Stormy Daniels, la pornostar che proprio oggi, riferendosi a Trump, ha dichiarato: “Lui non mi fa paura, l’ho visto nudo”.
Tornando alla legge americana, questa, dopo la decisione del Grand jury, prevede anzitutto la formalizzazione da parte del prosecutor dell’incriminazione davanti ai giudici. Di conseguenza, Trump dovrebbe essere arrestato per comunicargli quelle che sono le accuse mossegli. A quel punto, a corollario, gli verrebbero letti i cosiddetti diritti Miranda. “Lei ha diritto di rimanere in silenzio. Tutto quello che dirà potrà essere usato e sarà usato contro di lei in tribunale. Ha diritto ad un avvocato. Se non se ne può permettere uno, gliene sarà affidato uno d’ufficio. Ha capito i diritti che le ho appena letto? Tenendo presente questi diritti, vuole parlare con noi?”
Avete mai sentito parlare dei Miranda Warning? Si tratta di una formula che gli agenti di polizia americani devono recitare ai sospettati di un reato che dovranno poi essere interrogati. I diritti Miranda, dunque, verranno recitati anche a Donald Trump alle 14.15 di martedì 4 aprile, in una New York blindatissima. Oltre ai Miranda Warning, però, gli verranno verosimilmente letti anche i trenta capi di imputazione di frode aziendale.
Dopodiché, secondo la legge, all’ex presidente degli Stati Uniti verranno prelevate le impronte digitali e gli verrà scattata una foto segnaletica. Vedremo il tycoon con le manette?
Secondo quanto previsto nell’ordinamento americano, se viene disposto l’arresto di una persona questa deve essere ammanettata. Ma con un distinguo. Difatti, se il reato per il quale si procede è qualificato come violento, le mani della persona incriminata vengono ammanettate dietro la schiena. Se, al contrario, il reato contestato non rientra in siffatta categoria – come quello di cui è accusato Trump – le mani vengono ammanettate davanti. Tuttavia, coloro i quali non sono accusati di reati violenti e per i quali non sussiste pericolo per la sicurezza di terze persone, vengono immediatamente rilasciati. In attesa, chiaramente, che venga istruito il processo.
Questo è lo scenario che verosimilmente potrebbe prospettarsi nei confronti del Tycoon. A patto, però, che si congegni spontaneamente. Il suo avvocato ha fatto sapere che Trump è già arrivato a New York, che si trova nella Trump Tower e che martedì si presenterà davanti al procuratore Bragg per difendersi con le modalità consentitegli dalla legge di New York. Nella remota ipotesi, invece, che l’ex presidente decida di non costituirsi verrà avviata una procedura di estradizione in Florida, dove l’uomo ha la residenza.
La Costituzione americana, fondata sul perseguimento della felicità, non annovera l’assenza di una condanna penale tra i requisiti per ricoprire la più alta carica dello Stato. Dunque, laddove Donald Trump venisse riconosciuto colpevole delle accuse mossegli dalla pornostar, non perderebbe il diritto di correre alle presidenziali del prossimo anno.
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